Il fantasma degli attentati di Charlie Hebdo avvenuti nel Gennaio 2015 sembrava ormai affievolirsi nella patria che per secoli è stata culla dell’Illuminismo: Parigi.
Ma se in ogni caso dimenticare i terribili eventi risulta assai complesso, basta poco per far ricadere una città, una nazione e il mondo intero nel baratro del terrore.
Proprio quella città che un tempo professava i lumi della ragione viene ora paradossalmente a cadere di fronte a coloro che fanno dell’insensatezza il loro modus operandi; una notte da incubo, un brutto sogno destinato a perdurare quello accaduto ieri notte nel cuore della nazione francese.
Un dramma epocale dai risvolti più che tragici, un’offesa rivolta non solo alla Francia ma a tutto l’Occidente: ieri, 13 Novembre 2015, alle 21 la città che ha dato i natali a personaggi illustri come Renoir, Monet, Victor Hugo, Moliere simboli di una civiltà che cresce e del progresso che stava avviandosi, viene catapultata nella più tragica e drammatica delle situazioni.
Sette attentati, tutti rivendicati dalla cellula terroristica dell’ISIS sul canale Dabiq France (la rivista francese dello Stato islamico) dove è scritto: “La Francia manda i suoi aerei in Siria, bombarda uccidendo i bambini, oggi beve dalla stessa coppa“.
Numerose le sparatorie e i kamikaze in diversi punti del centro della città, le cifre parlano chiaro, una carneficina quella a cui è andata incontro la capitale fancese; un triste epilogo, 127 morti e 192 feriti, numeri che farebbero tremare chiunque e che celano la crudeltà, la pazzia di chi in nome di Dio compie scelleratezze di questo genere; ma in nome di chi è possibile questo?!
In nome di quale pensiero, religione, credenza i valori tanto auspicati di libertà, umanità e democrazia devono cadere? Quanto ancora dovremo aspettare e subire prima di renderci conto che tali offese e tali paure vanno stroncate?
Il primo attentato, secondo le indiscrezioni un attacco kamikaze, ha visto il suo nascere nel X arrondissement, in una brasserie nel quartiere tipico dei ristoranti kosher. Almeno dieci le vittime colpite dai terroristi che, ridiscesi verso l’XI e il XII arrondissement hanno continuato la loro furia.
Trovarsi lì, al momento sbagliato nel posto sbagliato (ma come posso essere nel posto sbagliato se sono in casa mia, nella mia stessa nazione), è quello che è successo al Teatro Bataclan, secondo luogo colpito, dove era in corso il concerto sold out della band americana Eagles of death metal.
Al grido “Allah u Akbar” (“Allah è grande”) non c’è stato nulla da fare per contrastare il furore dei due terroristi presenti nella sala dei concerti che hanno aperto il fuoco a raffica contro gli spettatori, alcuni uccidendoli uno a uno, altri casualmente facendo partire colpi e proiettili.
Se da una parte le forze dell’ordine hanno subito cercato di risanare una situazione già persa in partenza al Bataclan per l’inaspettatezza degli eventi, dall’altra un pericolo, forse ancor maggiore, è provenuto nei pressi dello Stadio de France, a Sant Denis, dove stava disputandosi l’amichevole di calcio Francia-Germania.
Due kamikaze in azione questa volta, le stime parlano di 30 morti causati da esplosioni con polvere da sparo e chiodi in una brasserie adiacente al campo e altri due luoghi vicini.
50.000 i presenti che hanno sussultato e tremato, riversandosi poi in campo, all’eco dell’esplosione; tra questi il Presidente francese Francoise Hollande, scortato ed evacuato subito dall’edificio. Con un discorso al Paese, il capo del governo francese ha decretato il piano Alpha Rouge (Alfa Rosso), un livello di allerta che corrisponde al livello “attentati multipli”, indicendo inoltre lo stato di emergenza.
La cieca furia di questi individui, signori della guerra e della morte, non finisce qui; colpiti anche un ristorante nel X arrondissement della città, dove questa volta spari di kalashnikov hanno ucciso diverse persone, ferendone altre.
Un’altra sparatoria è avvenuta a rue de Charonne; una città allo sbando, la notte del giudizio se vogliamo, durante la quale ad essere colpiti da colpi di arma da fuoco anche boulevard Beaumarchais e a Faidherbe, vicino a Place de la Bastille.
Inutile dire c’era da aspettarselo, inutile troppa retorica in questi casi.
Di fronte a quest’odio ci si sente impotenti, impauriti ma è proprio ciò a cui questi fanatici aspirano: il terrore.
Bisogna contrastare questa piaga, questa malattia che corrobora le fondamenta su cui si basano la nostra cultura, le nostre politiche, insomma l’Occidente.
Se l’odio genera violenza è vero anche che la solidarietà genera unione, ed è proprio da questo che l’Europa deve ripartire.
Innalzati i controlli, attuati o in fase di sviluppo metodi di prevenzione, l’Italia è forse uno dei paesi più a rischio, basti pensare all’imminente Giubileo a Roma; così il Ministro degli Interni Angelino Alfano alla luce degli avvenimenti della notte francese: “L’antiterrorismo è in costante contatto con i colleghi francesi per seguire con estrema attenzione ciò che accade in Francia, anche allo scopo di disporre ulteriori interventi preventivi”.
Uno spettacolo glaciale quello che hanno vissuto in primis i nostri fratelli francesi (a cui è rivolta la solidarietà di tutti) ma che lascia riflettere su una questione forse troppo spesso sottovalutata, e di cui forse si sta iniziando ad occuparsi seriamente oggi, quale l’emigrazione.
Prevenzione, aiuti, carità sono tutti nobili gesti che fanno onore ma che non possono intaccare il benessere di chi vive nei paesi che ospitano gli immigrati.
Bisogna iniziare ad usare il setaccio, ora che conosciamo i rischi, ora che abbiamo assistito ad un massacro gratuito in nome della pazzia, perchè quello è.
Luoghi di guerra, zone ad alto contenuto terroristico sono sicuramente indice di una situazione precaria da ristabilizzare. Ma perchè aiutare quando non siamo in grado di salvaguadare noi stessi?
Unica soluzione, forse drastica, che troverà il disaccordo di molti, è quella di dire stop e bloccare le frontiere; qualora si volesse aiutare e porgere una mano, questo lo si farebbe proprio in quei luoghi.
Bisogna arginare, per quanto possibile, il fiume in piena e, se questo ancora non si riesce a capire, prepariamoci a viverne le conseguenze e a non stupirci più se un tranquillo venerdì sera si trasformi nell’11 Settembre americano.
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