Immediatamente dopo l’anteprima nazionale di Steve Jobs, il nuovo film con Michael Fassbender, Kate Winslet, Seth Rogen, Jeff Daniels e Michael Stuhlbarg sul CEO che ha reso celebre la Apple ed i suoi prodotti, abbiamo incontrato il regista e co-produttore Danny Boyle, celebre per aver diretto il controverso Trainspotting ed il pluripremiato Millionarie (10 candidature, 8 statuette agli Oscar 2009). Ci ha raccontato com’è stato lavorare ad un prodotto così ambizioso e, allo stesso tempo, così complesso.
Indubbiamente al regista di un biopic su una personalità discussa come Steve Jobs la domanda che più sorge spontanea è quella sulla considerazione personale che il regista stesso può avere del protagonista di cui parla. Boyle si allinea subito alle critiche che emergono dalla pellicola stessa, ad un Jobs scostante ed intrattabile. La mia considerazione di Jobs è simile alla filosofia di Wozniak, ovvero che si può avere del talento ed essere allo stesso tempo una persona buona, non devi essere per forza un imbecille se sei un genio. E aggiunge – tessendo le lodi di coloro che invece sono stati dimenticati nella storia della Apple, come i creatori del capostipite di ogni Mac, l’Apple II – abbiamo il mito che le grandi persone abbiano cambiato il mondo perché erano dei duri, ma ce ne sono tante altre di cui si ascrivono i crediti. E’ un lavoro sempre di squadra, mai del singolo. Lui non era né un progettista, né un programmatore, né un designer. Lui dirigeva, e in questo ci rivedo un po’ di me stesso come regista, l’avere grande responsabilità sul prodotto finale, pur non gestendone nessuna fase. Boyle non vuole assolutamente scusare il comportamento di Jobs, né tantomeno capirlo, confermando la visione critica che permea gran parte della pellicola e le opinioni degli stessi collaboratori dell’ex-CEO dell’azienda di Cupertino. Ci sono alcuni momenti in cui bisogna farsi aiutare. Lui si è comportato malissimo nei confronti della figlia riversando su di lei il rigetto che i propri genitori avevano avuto durante il periodo della prima e della seconda adozione. Ciò non può essere usato come scusante.
Il film mostra gli inequivocabili caratteri derivanti da una sceneggiatura di Sorkin (il cui stile chiarissimo era già emerso in un altra pellicola da Oscar come The Social Network). La tripartizione e la predilezione per estese sezioni di dialogo rendono l’opera molto diversa dai canoni del bio-pic classico. Avevamo a disposizione una sceneggiatura corposa da 120 pagine, con molti dialoghi e quasi nessuna descrizione, quasi come fosse uno scritto teatrale – e forse ad un’opera teatrale si può assimilare il film stesso, con Jobs attore protagonista sulle quinte delle sue tre storiche presentazioni dei suoi prodotti al pubblico – Ho sempre sentito il teatro come uno spettacolo che si guarda da lontano. Il nostro modo di pensare e di sentire invece è più vicino al cinema. Ho pensato di voler agire in maniera immersiva, dare un’esperienza cinematica. Solo Fassbender poteva avere la forza per questo ruolo. Siamo stati fortunati ad avere lui come tutto il resto di questo grandioso cast.
Sulla tripartizione operata, Boyle dà un suo personalissimo giudizio sui tre eventi significativi della vita di Jobs. Lui è un narratore straordinario. Il 1988 è l’anno in cui deve far dimenticare la parte più noiosa e far ricordare solo le cose belle. Il 1998 invece è un punto chiave, con l’iMac come primo vero e proprio computer veramente bello, veramente cool, da mostrare quasi come un argomento che poteva far colpo sulle persone. Qui inizia un’interessante riflessione su ciò che la tecnologia è diventata per noi, su come un vero e proprio processo evolutivo della tecnologia di consumo sia iniziato proprio dalla presentazione di quel prodotto. E’ l’inizio di un percorso – sentenzia – che ci consente oggi di avere internet nelle nostre mani. Da lì nasce insomma la politica Apple che ci ha portato ad avere una serie di dispositivi che hanno letteralmente rivoluzionato la vita umana, dalla musica tascabile (iPod) fino all’abbandono dei tasti fisici per il passaggio definitivo al Touch (iPhone).
Dopo essersi lasciato a considerazioni sul cinema odierno – c’è poca fiducia e molta insicurezza negli sceneggiatori, si cerca il successo quasi sicuro alla Fast & Furious, Star Wars o 007 o i biopic stessi – torna inevitabilmente sull’argomento Jobs.
Il film è la storia di questa mente, di quest’uomo, un uomo senza pace, senza tregua , con una mente molto precisa che vuole dare forma al nostro mondo – cercando di riassumere in significato oltre che fine ultimo. Introduce inoltre le numerose difficoltà incontrate, sollecitato da domande sull’ostilità da parte della vedova Jobs durante la produzione. Anni fa rifiutai un film per scelta di una vedova del soggetto – afferma – ma stavolta, malgrado abbia contattato praticamente tutti i potenziali protagonisti per il ruolo di Jobs per far sì che non partecipassero, non potevo non farlo. E spiega le motivazioni – Jobs è una persona che ha sempre esercitato controllo, su tutto, tranne che sulla biografia autorizzata da cui è tratto il film. Per questo dovevo raccontarla, perché raccontava in maniera obiettiva il personaggio. Così dimostriamo che si può parlare di loro senza essere controllati. Noi possiamo parlare di Jobs perché non possiamo credere che sia stato un santo. E’ vero, non aveva grande amore o interesse per i soldi, lui era piuttosto interessato al solo controllo. Ciò, nel film, è anche dimostrato dalla sua testardaggine nel voler sviluppare un sistema end-to-end, chiuso, immodificabile e incapace di comunicare con altre realtà tecnologiche, perché da un sistema aperto non si recuperano gli investimenti aziendali.
Conclude, infine – I veri eroi del nostro tempo sono coloro che magari portano avanti Wikipedia o che hanno reso Internet accessibile a tutti. Sono queste le persone che io ammiro, non Jobs o gente come quella a capo di Microsoft o Uber, così ricche e potenti da governarci. Non è una posizione politica. Non voglio contraddire le aziende, non voglio smontare mito o beatificazione del personaggio, ma ritengo che ci sia una bella storia di un uomo che meriti di essere raccontata e che sia giusto fare film su di loro.
Ringraziando Danny Boyle per l’enorme disponibilità vi ricordiamo che Steve Jobs arriverà nelle sale italiane dal 21 gennaio 2016 distribuito da Universal Pictures Italia.
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