Anni 30. Il giovane Jesse Owens (Stephan James), dopo essersi iscritto ad un’università per bianchi, Ohio State, affrontando le conseguenze di una discriminazione razziale fortemente radicata sul territorio statunitense ed inasprita dal periodo post-Grande Depressione, decide di porsi un obiettivo ben preciso: le Olimpiadi di Berlino del 1936. Allenato dall’ossessivo preparatore Larry Snyder (Jason Sudeikis) e affrontando difficoltà familiari, sentimentali e umane arriverà a compiere l’impresa che lo consacrerà nelle celebri pagine della storia dell’atletica leggera.
Quattro ori tra il 3 ed il 9 agosto 1936, di fronte ad Adolf Hitler, per ribadire al mondo l’insussistenza di qualsiasi tesi sulla superiorità della razza ariana sulle altre. E’ questo il miracolo sportivo di Jesse Owens. Miracolo così grande che, con il passare degli anni, ha saputo addirittura trascendere l’aspetto agonistico per assumere un universale significato umano di lotta alla discriminazione, alla segregazione e al bigottismo, benché a lungo sia mancato un ufficiale riconoscimento degli stessi USA riguardo le vittorie dell’atleta afroamericano.
Nei panni di Jesse Owens infatti Stephan James (sostituendo John Boyega impegnato con Star Wars: Il risveglio della forza, al primo ruolo importante dopo quello di John Lewis in Selma) affronta gli anni giovanili del velocista, dalle prime gare universitarie, culminando nella manifestazione olimpica fino ai tempi immediatamente successivi all’en plein di Berlino. Il film mostra subito un ritmo interessante trainato dalla bipartizione narrativa che alterna sagacemente parti dialogate a vera e propria atletica, con i primi successi di un Jesse giovane ed inesperto, inizialmente quasi sopraffatto dall’exploit e dagli schiaccianti successi. Questa alternanza pervade tutta l’opera, permettendo allo spettatore un’immersione totale per tutti i 134 minuti di durata, scorrevoli e ben inquadrati in uno schema semplice ma di facile approccio, complice anche una sceneggiatura che non si perde in leziosismi o in trovate troppo fantasiose, ma si attiene (nei limiti delle possibilità della trasposizione cinematografica e dell’inevitabile inserimento della componente “romanzesca”) ai fatti storici. Da buon biopic classico il film cerca una forte aderenza, minata soltanto da alcuni inserimenti figli più della credenza popolare che della realtà dei fatti (Hitler non abbandonò anzitempo lo stadio dopo le 4 vittorie di Owens, ma lo salutò addirittura dagli spalti, per ammissione dello stesso atleta, al contrario di come fece Roosevelt che, da presidente degli USA, cancellò l’incontro). Al di là di qualche piccola imprecisione, tutto è riportato con estrema fedeltà, dalle gestualità, agli eventi significativi, passando per un certosino lavoro di apprendimento tecnico di Stephan James nell’assimilare movimenti, movenze e caratteristiche dell’atleta-Owens.
Il ruolo, confezionato adeguatamente per l’appena ventiduenne attore canadese, è infatti piuttosto canonico (difficile lavorare molto su un aspetto psicologico inevitabilmente subordinato alle gesta sportive) e non brilla certo per esaltare le possibili doti attoriali del suo protagonista. Race – Il colore della vittoria rispecchia in pieno i canoni del biopic e si attiene ad essi anche nel rappresentare un personaggio principale che gode della possibilità di far parlare le proprie gare ed i propri trionfi per sè. Attorno a lui ruotano efficacemente i due premi Oscar William Hurt e Jeremy Irons ed un eccezionale Jason Sudeikis che, ricalcando la collaudata figura cinematografica dell’ “allenatore-motivatore”, dona una caratterizzazione particolare sia al suo personaggio (un ex-atleta col rammarico di aver perso le Olimpiadi per un infortunio) e aiuta Stephan James nel costruire una fondamentale sintonia scenica tra i due capace in qualche modo di infondere credibilità, umanità e verosimiglianza nelle vicende del protagonista.
Accompagnato dalle musiche di Rachel Portman (Premio Oscar nel 1997 per aver composto la colonna sonora di Emma), Race convince anche sotto un aspetto tecnico piuttosto valido nel ricostruire la particolare atmosfera dell’epoca, dalla Germania Nazista alla meravigliosa e suggestiva cornice dell’Olympiastadion di Berlino. La forza del film emerge poi alla distanza, cercando non soltanto di narrare banalmente delle gesta sì celebri, ma comunque piuttosto conosciute, ma soffermandosi sulle conseguenze che tali gesta hanno portato e su un contorno storico piuttosto approfondito e caratterizzato da una realtà sociale decisamente variegata. Dai temi più intimi dell’amore e dell’amicizia la pellicola trasla su temi ben più generali affrontando con profondità non solo razzismo e segregazione razziale, ma anche gli intrecci della politica e dello sport, dei sotterfugi e degli inganni. Race, nel suo essere un film sull’atletica appositamente confezionato per il grande pubblico, gode di grandi doti narrative malgrado una semplicità strutturale e di intreccio nel presentare un’impresa apparentemente semplice ma dai risvolti storici e umani terribilmente attuali. Triste testimonianza forse di come, su certi aspetti, nemmeno quattro ori olimpici siano riusciti a cambiare le cose.
Scheda film
Titolo: Race – Il colore della vittoria
Regia: Stephen Hopkins
Sceneggiatura: Joe Shrapnel, Anna Waterhouse
Cast : Stephan James, Jason Sudeikis, William Hurt, Jeremy Irons, Shanice Banton, Carice Van Houten, David Kross, Amanda Crew, Tony Curran
Genere: Drammatico, Biografico
Durata: 134′
Produzione: Forecast Pictures, Solofilms, Trinity Race
Distribuzione: Eagle Pictures
Nazione: Canada, Germania, Francia
Uscita: 31/3/16
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