Ogni abitante del suolo italico custodisce in cuor suo diversi momenti topici prodotti dal cinema nostrano: il proibito bagno nella fontana di Trevi di Anita Ekberg ne “La Dolce Vita”, l’efferata uccisione di don Pietro ad opera di un ufficiale tedesco in “Roma Città Aperta”, o il liberatorio e straziante arrivo del carrarmato nella parte conclusiva de “La Vita è Bella”. Ciascheduno di questi estrapolati appartiene a buon merito alle memorie di chi ha assistito alla proiezione dei relativi lungometraggi ma rientra in ogni modo in un ideale di cinema “alto” o comunque fuori da quelle che sono le preferenze dei più; se c’è dunque una sequenza filmica, che ad oggi, ha saputo unire indistintamente il popolo tricolore e farsi largo in un ampissimo e diversissimo immaginario è la mitica scena della “corazzata Potemkin”, da “Il Secondo Tragico Fantozzi”, estratto indimenticabile della sfigatissima epopea fantozziana.
Pensate a quanto frasi come “la corazzata Potemkin (Kotiomkin) è una c******a pazzesca” o “novantadue minuti di applausi” siano divenute testamenti della comicità italiana, quanto il loro solo essere proferite scateni ilarità senza dover nemmeno contestualizzarle. Certo può essere una pessima conquista arrivare a sentenziare che il più noto tra gli estratti filmici del Bel Paese sia un’opera comica, per di più colma di volgarità, umorismo facile che appoggia sul più becero turpiloquio; ma ciò che riescono a creare Paolo Villaggio e la direzione di Luciano Salce è un momento di una profondità mai più toccata in film simili, facenti parte di quell’epoca o addirittura contemporanei, nonché dotato di strati di lettura così sommersi da meravigliare anche lo spettatore più preparato. Vedrete!
Ripassiamo gli estremi della scena per chi (mi chiedo chi! ndr) non l’avesse immediatamente presente: in questo episodio il ragioniere Ugo Fantozzi ed i suoi sgangherati e colorati colleghi subiscono le angherie del mega direttore Ricciardelli, fissato di cinema classico di inizio Novecento; costui li costringe ad estenuanti proiezioni di pellicole antidiluviane fuori dall’orario lavorativo; gli impiegati non reagiscono per via di sentimenti omertosi.
Il Ricciardelli programma un’ennesima serata dedicata al cinematografo d’epoca proprio nel giorno in cui verrà trasmessa la partita della Nazionale, valevole per la qualificazioni ai mondiali. I subordinati obbediscono ancora una volta partecipando alla proiezione seppur tentando invano e con i mezzi più funambolici di seguire la partita; un barlume di speranza si accende quando la pellicola prescelta per la visione dal mega direttore non riesce ad essere consegnata per tempo, immediatamente spenta dall’alternativa tempestivamente proposta da quest’ultimo: verrà riproiettata per l’ennesima volta “La Corazzata Potemkin”.
I disperati e rassegnati impiegati accettano il loro destino ed abitano la sala di proiezione quale fosse una camera da letto, sfoderano guanciali e coperte e sprofondano nel sonno, distrutti dall’ennesima e barbosa visione del film. Da cui in poi prenderanno piega gli eventi che porteranno alla ribellione del goffo Fantozzi Ugo, nonché al sequestro del Ricciardelli, legato e fatto inginocchiare sui ceci oltre che costretto alla visione di film comici trash italiani come “Giovannona coscialunga” o “L’esorciccio”.
Scena indimenticabile e dalla costruzione semplice, le sensazione comica scaturisce dalle vessazioni subite dai subordinati composti da Fantozzi ed annessa cricca poi rovesciate sul direttore unite ad una rinfrancante sensazione di liberazione data dalla sommossa impiegata.
Andando leggermente oltre è però possibile comprendere le mille sfaccettature della grande opera parodistica compiuta dall’autore.
Per mettere in piedi la nostra tesi dobbiamo però partire da un’ipotesi non confermata e piuttosto stramba sulle prime: Paolo Villaggio è in realtà un vasto conoscitore della corazzata Potemkin! Anzi, non solo ha ben presente il film e gli argomenti di cui tratta ma ha anche una vasta cultura sulla sua storia e su quella del suo regista. Cerchiamo dunque di allinearci con la mole di conoscenze del comico così da costruirci un’ottica più vicina alla sua.
La Corazzata Potemkin (titolo originale: Bronenosec Potemkin), come facilmente evincibile, è un film russo, commissionato e girato nel 1925, dietro la cui lavorazione c’è un regista dall’importanza seminale nella storia del cinema, Sergej Michajlovič Ėjzenštejn (in russo: Сергей Михайлович Эйзенштейн; Riga, 23 gennaio 1898).
Maestro del mezzo cinematografico, vera istituzione nella madre patria, vanta un’incredibile influenza sul cinema moderno per via del suo modo di intendere il film come un’opera di forte impatto sullo spettatore e delle sue avanguardistiche intuizioni nell’organizzazione di montaggi efficaci, che prevedono l’accostamento di immagini appartenenti a contesti differenti per smuovere in chi guarda ragionamenti e sensazioni assolutamente personali.
Lontano dalla volontà di rappresentare il reale e ben più interessato a far scaturire nel pubblico idee conflittuali create da un continuo bombardamento visivo, costituito da un montaggio dinamico che dialoga con la mente dello spettatore e lo obbliga a riflettere su ciò che ha visto piuttosto che prendere gli eventi come assoluti.
Il cinema di Ejzenstejn è dunque infarcito di immagini ruvide, che cozzano l’una sull’altra creando significati profondi ed in grado di scuotere la coscienza. Come può dunque un regista tanto appassionato e fulgido creare quello che è per Villaggio un film così barboso da far cadere chi lo guarda nella noia più totale. Come può la Corazzata Potemikin essere un tale tedio visivo al quale assistere?
Semplice: non lo è.

La colorata cricca dell’ufficio sinistri nel “Secondo Tragico Fantozzi!”
Agli inizi del Novecento il cinema è lontano dal prendere le fattezze istituzionali che oggi ci sono note ed ogni paese ne vede l’evoluzione in maniera autonoma, anche se pur sempre influenzata dalla concorrenza estera; in Russia, il nuovo mezzo viene visto come un’arte eccelsa dallo stesso Lenin, che ne incensa l’enorme potenziale come strumento educativo per il popolo.
Ejzenstejn in un certo senso, fa di questo la sua missione, il voler istruire le masse attraverso i suoi film, istigando alla rivoluzione, picchiando la psiche dello spettatore con immagini colme di asperità e che avrebbero dovuto incitare alla ribellione sociale, alla richiesta di diritti equi per tutti.
La corazzata Potemkin si pone su questa linea, è un film pensato per promuovere e legittimare la rivoluzione attraverso il racconto degli episodi avvenuti ad Odessa nel 1905, dove il popolo russo venne massacrato dai cosacchi e solo infine tratto in salvo dalla nota corazzata. E’ un lungometraggio infarcito di scene forti ed incredibilmente cadenzato, in cui la morte, la violenza e l’istinto soffocato di ribellione e riscatto attraversano ogni scena.
Il film diviene un punto fermo nella storia del cinema ed il suo autore consacrato ad assoluto maestro della macchina da presa. C’è un incrinatura nel successo di Ejzenstejn però; egli non riuscirà mai a raggiungere pienamente il suo obbiettivo primogenito. In una beffa del fato le opere del sovietico sono incredibilmente apprezzate da un pubblico colto e preparato e riscontrano pareri meno affettuosi tra le masse, probabilmente non in grado di coglierne appieno le profonde simbologie o il significato diegetico ed accusandolo di formalismo.
Paolo Villaggio sembra dunque costruire questa sua visione comica per donare al regista russo quel ruolo che aveva così fortemente anelato, attraverso un atto parodico finissimo, e creando quella che è probabilmente una delle dediche più sentite e lucide mai rivoltogli, seppur ammantata da un lieve velo di vendetta (sicché pare che il comico genovese fosse davvero obbligato alla visione reiterata del film).
Il comico non solo comprende i lavori del regista ma ne analizza lo stato emotivo: in un ennesimo scherzo del destino la corazzata Potemkin si ritrova ad essere osteggiata dal pubblico a cui era intrinsecamente destinata, quegli impiegati raccontati insieme a Fantozzi, obbligati a guardarla, ancora ed ancora; mentre il direttore Ricciardi, a cui ora potremmo tranquillamente guardare come il simbolo della borghesia e del controllo le si rivolge con toni appassionati ed esaltati.

In realtà nel film di Villaggio non vengono mai mostrare le riprese originali del film russo, ma quelle della “Corazzata Kotiomkin” di Serghei M. Einstein… ovviamente…
Ma in questo quadro maledetto, che sembra annichilire ogni speranza per il regista sovietico, scatta una scintilla; infine, la rivoluzione accade, gli impiegati si ribellano alla tirannia del Ricciardi, sovvertono l’ordine e bruciano la pellicola a lui tanto cara. Ora divenuta non l’ispirazione della rivolta come avrebbe voluto Ejzenstejn ma il motivo stesso di quest’ultima. Non la fonte di conoscenza che istruiva il popolo alla disobbedienza ma la cagione che ne genera l’atto in primis.
Ecco quindi che la Potemkin assurge finalmente il suo primogenito ruolo di instillare sentimenti riottosi e di cambiare l’ordine sociale, per una beffa del destino non attraverso il certosino lavoro culturale del regista ma proprio per l’eccesso di quest’ultimo. Villaggio accomiata Ejzenstejn, beffandolo ma al tempo stesso soddisfacendo il suo più grande sogno, appagando il suo ultimo desiderio seppur in maniera tragicamente trasversale e costruendo una dolceamara caricatura del proletariato incline a rimettere in scena i propri limiti e le proprie inclinazioni sempiternamente.
Procedendo in un’analisi più approfondita si potrebbe scorgere la possibilità che il film sovietico abbia lasciato delle tracce dormienti nei suoi annoiati spettatori, che seppur distratti e catatonici, ne abbiano assorbito quelli che sono i punti salienti in maniera passiva; ciò spiegherebbe come gli impiegati fossero così pronti ed efficaci durante l’atto della rivoluzione contro il direttore, quasi addestrati inconsapevolmente dalla visione reiterata del lungometraggio. O forse è proprio in quest’ultima considerazione la chiave di lettura corretta; forse anche nel popolo russo che ai tempi non apprezzò consapevolmente l’opera avvenne una lenta ed inconsapevole trasformazione, un germogliare di istinti rivoluzionari sottopelle, una stimolazione non lucidamente percepita sicché espressa in un linguaggio inizialmente troppo criptico ed astratto ma che con il giusto tempo si è fatta strada ed ha irrorato una rediviva volontà di riscatto popolare.
Il regista russo è quindi affrancato dal suo ruolo di autore insoddisfatto così come lo stesso Paolo Villaggio innalzato da quello di semplice comico, saltabecca inappropriata o giullare tutto versi e cafoneria. In un sol colpo dunque due grandi autori, seppur così diversi e dalle vedute ben distanti, hanno la loro rivalsa verso un mondo forse non ancora pronto a comprenderli appieno.
Complimenti per l’articolo! Mi è piaciuto molto! 😀
Grazie di cuore Mirko! 😀
mitico Lex che analisi..