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Café Society – Recensione

Marco Alocci Recensioni Set 29th, 2016 0 Comment

La vita di una tranquilla famiglia di New York è scossa dalla voglia del giovane Bobby (Jesse Eisenberg) di trasferirsi a Los Angeles, stanco della vita di garzone nella bottega orafa del padre e con il sogno di entrare a far parte del mondo dello spettacolo, lavorando come agente cinematografico sfruttando l’importante ruolo rivestito dallo zio Phil (Steve Carell). Incontrerà Vonnie (Kristen Stewart), la donna della sua vita, ma spesso sono il destino e le coincidenze a remare contro le ambizioni umane.

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Quando la tradizione va a spasso con l’innovazione. Eccolo l’intento di un Woody Allen che, ad appena un anno di distanza da Irrational Man, torna a dirigere girando per la prima volta nella sua lunghissima carriera in digitale. Innovazione appunto, quella da cui nessun maestro può definirsi esente, quella che Allen mai ha disdegnato, seppur con risultati alterni. Eppure ciò, all’interno di Café Society, significa tornare fortemente ad ancorarsi alla tradizione che tanta fortuna ha portato al regista statunitense fin dai tempi di Io e Annie.

Come può essere tradizionalista Allen? Raccontando se stesso, ovviamente. Jesse Eisenberg diventa un Woody Allen in miniatura: ebreo, impacciato nei suoi pantaloni larghi e nelle sue camicie a maniche corte, balbettante, esitante, ambizioso, sarcastico, tagliente e follemente innamorato. Torna infatti in modo prorompente quell’illimitata ed incontenibile voglia di innamorarsi, slegata da qualsiasi riferimento terreno e legata tanto ai luoghi quanto alle persone. Due donne così come due città si contendono l’amore del giovane Bobby nell’eterna sfida tra l’amata New York e la sfavillante e mondana Los Angeles, tra una donna stupenda ma semplice, austera e tradizionale e quella che stimola mente e corpo del protagonista. E’ il costante protendere verso l’una e l’altra, la perenne tensione che si crea fra due estremi che attirano sia Woody che Bobby, due piloni dell’esistenza alleniana, due capisaldi: le città, le donne.

Sotto una forte spinta di ironia ed ilarità vola la fantasia dell’autobiografico Allen, passando attraverso scene topiche attorno alle quali tutti i personaggi gli ruotano attorno (o meglio, attorno alla sua personalissima creatura). Di fronte ad un guardaroba, in una lussuosa villa si alternano le vacue e vuote ed evanescenti figure della cafè society e di Beverly Hills, abbagliate e affascinate dall’effimero mondo dello showbusiness. E’ una critica ad Hollywood, al suo sembrare alla portata di tutti e al suo essere, invece, dolorosamente irraggiungibile per i più, seppur sognanti. Una voce fuori campo ci presenta con leggerezza i protagonisti che animano questo sfondo sbrilluccicante e fascinoso a ritmo di jazz e al gusto secco di un Martini Dry, in quegli anni ’30 di bella vita e crimine, tanto per dare quel tocco di gangster movie grottesco che, ad una commedia così, non fa mai male.

Tutto ciò non deve far però dimenticare l’amore. Ah, l’amore. Si fanno cose assurde per amore – si dice nel film, in una vita che è una commedia scritta da un sadico che fa il commediografo (immancabile tocco di metacinema). Qui l’amore, che inizialmente può sembrare piuttosto banale e scadente, complici anche due protagoniste femminili non all’altezza a livello recitativo, segue un’evoluzione tutta sua. Il cuore dell’amore non sta nelle protagoniste stesse, ma sta nel legame che esiste tra Bobby stesso e le sue due donne così come quello che esiste fra Bobby e le sue due città. E’ un amore amaro, usando un’abusata allitterazione, di quelli che portano a quel gusto di commedia agrodolce che sorprende ma non dà fastidio, che spiazza ma alla fine sorprende. Merito anche di un impianto filmico che scomoda i classici greco-latini andando a ripescare il sempreverde espediente dell’equivoco, qui all’ennesima potenza eretto a motore e fulcro delle vicende.

E’ il ritorno degli anni 20/30, di quel Woody Allen pre-Io e Annie imperniato sul sadismo umano di farsi del male come necessità per comprendere la vita. Siamo di fronte ad un film che cura il dettaglio, che coglie le particolarità e dona ad esse vita propria, che guarda al passato ma pensa al futuro con la sua capacità di intrattenere e far sorridere grazie anche alla voglia di Allen di rispolverare un quasi accantonato umorismo ebraico. E’ il trionfo dell’autoreferenzialismo non fine a se stesso, bensì col chiaro obiettivo di creare una storia raccontando se stessi, qualcosa che il regista newyorkese ha sempre fatto, qualcosa che non smetterà mai di fare. Storie che toccano le corde più profonde dell’animo nel ricordare allo spettatore quante volte, nella sua vita, ci siano state tante New York e Los Angeles, tante scelte, sbagli, errori, rimpianti, rimorsi. E’ l’essenza di ogni nostra esistenza, serve solo un Woody Allen che sappia incantarci nel raccontarcela.

 

Scheda Film

Titolo: Café Society
Regia: Woody Allen
Sceneggiatura: Woody Allen
Cast: Jeannie Berlin, Steve Carell, Jesse Eisenberg, Blake Lively, Parker Posey, Kristen Stewart, Corey Stoll, Ken Stott
Genere: Drammatico, Commedia
Durata: 96′
Produzione: Gravier Productions
Distribuzione: Warner Bros.
Nazione: USA
Uscita: 29 settembre 2016

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Marco Alocci

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