2016: Odissea nello strazio. Ovvero… Cinema 2.0. In questi anni 2000, il modo di fare, produrre e distribuire cinema è cambiato. Poco ma sicuro. Anche le companies, grandi e piccole – ok, grandi e medie – si sono “adeguate”, spesso e volentieri, non solo al filone fortunato (la cinecommedia dei panettoni, ad esempio, in Italia) ma anche ad un certo tipo di montaggio (stile Lucignolo / PIF leggasi convulso e più da web che da cinema – tv), ad un certo tipo di colonna sonora (vedasi “musiche da blockbuster” anche su film – serie indie) realizzate fintamente ad hoc ed in realtà figlie di una certa impazienza.
Insomma, se adesso un prodotto viene confezionato sotto una lente che prevede e legge ogni infinitesimale aspetto – con riguardo soprattutto a marketing sui social media e al far coincidere la data di uscita di una pellicola in base a studi / statistiche di affluenza, gradimento etc… – per certi versi non lo è a livello qualitativo. Non fino in fondo, almeno. Non sempre. La qualità media si è abbassata. Vertiginosamente. Scandalosamente, aggiungo io. Del tipo che un prodotto amatoriale ideato per il web, potrebbe, con qualche accorgimento ed il timbro di un marchio importante, passare in tv. O peggio al cinema.
In Italia più che all’estero… ma… C’è un ma. I costi di produzione sono scesi precipitevolissimevolmente, così qualcuno, invece di acquistare un nuovo modello di auto sportiva si butta nella produzione di un film (che comunque ha un costo. Del tipo lo stipendio medio annuo di un operaio. Moltiplicato per Otto. Minimo.). Non è il caso, quest’ultimo, di Stranger Things, serie Netflix stile anni ’80 firmata da Steven Spielberg e Stephen King. Però… Però in essa si evincono degli errori di montaggio seri. Gravi. Del tipo: Campo / controcampo sballati, stacchi involontariamente bruschi, raccordi sull’asse poco lineari ed alcune altre mancanze che meritavano di certo più attenzione. Stiamo parlando di un prodotto – pardon, Prodotto – USA per un Network, si indipendente ed online, ma comunque affermato e che lancia serie e film di qualità producendole e non più da tempo solo distributore.
Torniamo, dunque, alla fretta, alla bramosia di produrre “fast & furious” e ad un certo tipo di mentalità ggggiovane, forse, altamente impreparata. Proprio Netflix, però, ha dato prova di essere seria, sotto l’aspetto produttivo / realizzativo, quando, in passato, ha rimandato la terza stagione di Dare Devil, rinviandola al 2018. Motivazione? Non è facile mantenere alta la qualità se si lavora con scadenze troppo ravvicinate. Altro esempio, per rimanere in tema, è True Detective – mi riferisco ovviamente alla seconda annata -: problemi di montaggio (e di sceneggiatura, aggiungo io), hanno, infatti, messo in seri guai il prodotto di Nic Pizzolatto. Un prodotto audiovisivo, ha parametri e criteri qualitativi che addetti ai lavori e spettatori, considerano, ognuno a suo modo. Quello che conta è il risultato finale, che, come giudizio, è alla portata di tutti proprio perché visivo. Dunque… ok considerare la trama, l’originalità del progetto, la forza evocativa che esso emana, il politically correct, i dialoghi ivi contenuti, gli attori in scena etc… ma… che dire della regia, dello stile del girato, della messa in scena tutta? In sostanza, serve, da parte dei network, meno competizione e maggior cura dei dettagli. Il pubblico li nota. Vive di questo – specialmente quando si parla di serie tv, sulla cresta dell’onda dagli anni ’80 / ’90 con un pubblico oramai scaltro e sapiente. Del resto… quale sarebbe, altrimenti, la differenza tra una webserie indie ed una serie tv? Chiusa: Il pressappochismo, nel cinema, non porta da nessuna parte.
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