Quanto possono essere lunghi venti anni? Abbastanza, per Mark Renton (Ewan McGregor), da far sorgere una seria nostalgia di casa. Tornato in Scozia per ricucire gli strappi con i suoi amici di vecchia data Spud (Ewen Bremner), Sick Boy (Johnny Lee Miller) e Franco (Robert Carlyle) finirà per essere letteralmente travolto dalla vita che aveva abbandonato, attratto da un ritorno alle origini divenuto alternativa quantomai valida ad un’esistenza avara di soddisfazioni personali, lavorative, sentimentali.
Fare sequel è un lavoro rischioso. Fare sequel di saghe celebri lo è ancor di più. Fare sequel di film unici come Trainspotting è quanto di più vicino possa esserci al tentato suicidio registico. O almeno così ci piace pensare. Già nel lontano 1996, quando il pubblico di Cannes vide in anteprima lo scandalo, la brutalità, la violenza e il degrado che Trainspotting aveva intenzione di portare, si rese conto di essere di fronte ad una storia letteralmente fuori dagli schemi. Venti anni dopo Danny Boyle ci fa provare la stessa identica sensazione.
T2: Trainspotting vola sulle magiche ali del tempo, sale su un train dalla durata di venti abbondanti anni e ci catapulta in un mondo su cui spesso ci siamo interrogati ma che mai è stato svelato. Cosa c’è dopo Trainspotting, dopo l’eroina, dopo “il peggior cesso della Scozia”, dopo Swanney, dopo il metadone, dopo il tentativo di “una vita lontana da guai”? C’è qualcosa dopo la droga, dopo la gioventù bruciata? Danny Boyle, presi con sè coloro che tutto ciò lo hanno vissuto in prima persona, ripropone le loro vite o quel che ne rimane. Quel mondo esiste ed è arrivato il momento di raccontarlo.
E’ attraverso un’attenta opera di raccordo fra presente e passato che T2: Trainspotting esprime tutte le sue potenzialità e trova la sua ragione di essere. Il citazionismo non è mai abbandonato a se stesso in quello che sarebbe potuto diventare un mero revival di un capolavoro del passato. Tutto è perfettamente inserito in un sistema dinamico che racconta una nuova storia. Il “nuovo” però non può assolutamente prescindere dal “vecchio”: è così che il film diventa l’occasione per parlare di ciò che c’è dopo, senza mai dimenticare ciò che c’è stato attraverso flashback, rimandi, vere e proprie riproposizioni di scene topiche, tra il nostalgico e il malinconico.
I personaggi, assoluti protagonisti, subiscono un’evoluzione psicologica e caratteriale profonda e analitica, capace di raccontarci quanto di positivo e di negativo essi possono esprimere in un mondo che, irrimediabilmente, sta cambiando. La realtà muta a velocità costante e testimonia l’inadeguatezza, l’incapacità e l’impossibilità per alcuni di stare al passo, di accettare il cambiamento, di accettare una visione del mondo diversa da quella che il microcosmo di Edimburgo può offrire. In tutto questo cambiamento emergono le difficoltà, i retaggi, le tradizioni: non tutti possono farne a meno.
Danny Boyle ci racconta dunque come, dopo la droga, arrivi qualcosa di ancor peggiore. Il “passato” è la nuova eroina, vivere in esso appaga, soddisfa, dà assuefazione; così tanta da non permettere più di uscirne. Richiamando il passato e parlando del presente il regista britannico guida i suoi interpreti nel tentativo di ritrovare se stessi in una realtà a loro amica. Trainspotting 2 non ha bisogno di narratori perché è il contesto sociale stesso, sapientemente ricostruito, e i protagonisti che lo animano (a loro completo agio nei ruoli che venti anni fa fecero le loro fortune) ad essere infinitamente più eloquente di qualsiasi voce.
T2 Trainspotting – Recensione
8.5
voto
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