Sei scienziati operanti sulla Stazione Spaziale Internazionale, in orbita intorno alla Terra, aspettano impazienti il ritorno della sonda Pilgrim, spedita dalla NASA sul suolo di Marte al fine di rilevare l’eventuale presenza di tracce di forme di vita intelligenti. I campioni raccolti si rivelano molto interessanti: tra i numerosi materiali viene infatti estratta una forma di vita monocellulare. Adeguatamente stimolata, essa mostra piene funzioni vitali, a testimonianza dell’esistenza di forme extraterrestri. Forme di vita di cui non siamo in grado di prevedere potenzialità, intelligenza, comportamenti.
C’è vita intelligente al di fuori del nostro pianeta? Domanda interessante a cui la scienza non ha ancora dato una risposta certa. Risposta che invece è arrivata, piuttosto puntuale, dal mondo cinematografico. La fantascienza ci ha insegnato da decenni di credere fermamente alla vita extraterrestre e alla sua incredibile pericolosità (tranne più rare e sofisticate eccezioni). Life non vuole stravolgere questo paradigma ma, partendo proprio dai risultati raggiunti dai pionieri della “cinematografia aliena”, prova ad innovare un prodotto di per sè già interessante.
Sei astronauti, una forma di vita aliena, un astronave e i suoi solidi rivestimenti. Life – Non oltrepassare il limite fonde fantascienza e bunker movie per portare allo spettatore un’esperienza survival completa. Il film vive del clima opprimente che riesce a generare e, come un moderno Alien, ricrea quell’atmosfera di “caccia all’uomo” che Ridley Scott aveva reso motore del proprio capolavoro già nel lontano 1979. Con i protagonisti inconsapevoli giocatori di una mortale partita di mosca cieca, nel loro frenetico brancolare, lo spettatore viene trascinato nel film, coinvolto in modo totale.
Coinvolgimento possibile solo grazie ad una cura registica encomiabile. Daniel Espinosa (Child 44) sfrutta alla perfezione visuali in soggettiva, inquadrature strette ed un montaggio serrato per restituire lo smarrimento, la frenesia e la tensione (ben concentrata nella brevità dei suoi 103 minuti). Si è letteralmente dentro il film, in una sorta di empatia con i caratteri diametralmente diversi di tutti i protagonisti. La complementarità di questi ultimi è un fattore aggiunto e crea una varietà che slega il film stesso da eventuali cliché di genere. Life, anzi, è quanto di più lontano possa esserci dai cliché fantascientifici, sia nella struttura che nel suo particolare e sferzante epilogo.
Si deduce dunque come Espinosa voglia chiaramente giocare con lo spettatore: lo mette di fronte ad un “classico” per poi togliergli fin da subito ogni punto di riferimento. Niente gravità, inversioni, continui ribaltamenti tra alto e basso, per culminare nell’ansia pura. Un punto di riferimento cinematografico in realtà c’è eccome ed è Calvin stesso, l’organismo marziano monocellulare, ma il dare punti di riferimento non è proprio il suo forte o, quantomeno, non sembra essere il suo obiettivo in una pellicola che vive di voluto spaesamento.
Life – Non oltrepassare il limite – Recensione
7
voto
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