Negli anni ’40, Rosie the Riveter è l’emblema della donna americana impegnata in fabbrica per sostituire il marito arruolato in guerra. Allo scoppio del secondo conflitto mondiale, infatti, un “esercito” di donne è chiamato ad alimentare la macchina da guerra statunitense lavorando nelle fabbriche, specie quelle che producono armamenti. La donna è considerata un’eroina che, secondo le sue possibilità, contribuisce a far vincere la guerra al suo paese. La donna rafforza a modo suo l’identità nazionale. In questo contesto storico, nasce dalle mani di Willian Moulton Marston (1893-1947), psicologo e fumettista americano, il personaggio di Wonder Woman, alterego di Diana Prince. La supereroina è la paladina della giustizia dal costume succinto a stelle e strisce e icona dei fumetti pubblicati dalla DC Comics, assieme ai “colleghi” Batman e Superman. La sua prima apparizione è nel numero 8 della All Star Comics (1941). L’intento di Marston è quello di creare un personaggio dal fascino femminile, ma con la forza di un uomo. Wonder Woman è, per il suo creatore, propaganda psicologica diretta agli uomini per il nuovo tipo di donna che dovrebbe governare il mondo, una donna sola incaricata di difendere il suo paese dalle atrocità della guerra.[1] Il contesto, quindi, in cui Wonder Woman opera è contemporaneo all’epoca di uscita dei fumetti. Fa parte della cosiddetta popular culture.
Al ritorno degli uomini dalla guerra, però, la figura femminile torna ad essere relegata tra i fornelli e ad accudire a marito e figli. Tutti i diritti di emancipazione guadagnati all’inizio del secolo perdono valore. Negli anni ’50, quindi, la più grande ambizione della donna è sposarsi e avere una famiglia numerosa. Eppure la frustrazione e l’insoddisfazione della donna si palesa presto trasformandosi nella “sindrome della casalinga,” che non poteva rimanere a lungo inascoltata.[2] In concomitanza con questa identità femminile, l’industria del fumetto subisce una forte crisi, anche a seguito della crociata dello psichiatra Fredric Wertham che nel 1954 pubblica La seduzione dell’Innocente, opera che mette in guardia i genitori sull’influenza negativa di tali pubblicazioni sui giovani. Wonder Woman, per esempio, è ritenuta un pessimo modello e una minaccia per le giovani, poiché simbolo di una femminilità incontrollabile. Per questo, nello stesso anno, il mondo del fumetto si tutela con il Comics Code Authority, un organo di autocensura. Questa involuzione porta all’abbandono del femminismo da prima linea per fornire alla donna una connotazione attaccabile e debole. Il personaggio di Wonder Woman subisce tale influenza perdendo tutti i poteri e assumendo l’identità di Diana Prince. La Golden Age del personaggio prende, quindi, una brutta piega. Si auspica un’ulteriore trasformazione dell’eroina. Così nel numero 329 di Wonder Woman (1986), la donna sposa Steve Trevor sentenziando così la fine dell’era di Diana Prince e l’inizio di quella della Principessa Diana per mano del fumettista George Pérez (1954 – ).
Tra il 1987 e il 1992, il contesto cambia e il fumetto della fatale eroina raggiunge l’apice del successo ampliando persino il target dei lettori, che ora includono anche una consistente rappresentativa femminile. La Principessa Diana (l’odierna Wonder Woman) diventa una Amazzone legata alla tradizione greca. In tale tradizione, le Amazzoni sono la razza di donne più forte al mondo. Sono governate dalla regina Hippolyte e popolano l’isola Paradiso. A loro è negata qualsiasi interazione con l’uomo considerato esponente della razza per loro più pericolosa ed infida. Dovendo interpretare tale minaccia, la si correla al sistema patriarcale che aleggia e governa la società in senso lato.
Figlia della regina, Diana diventa un mito. È educata a diventare una guerriera. Indossa i bracciali ai polsi, simbolo della precedente autorità maschile (note sono le battaglie contro Ercole), che le consentono di parare gli attacchi nemici. Indossa un costume “americanizzato” con gli alti stivali rossi e sferra il suo lazzo magico che costringe il nemico a fornire sempre la verità. È una donna forte, agile, che resiste alla sofferenza. È veloce ed abile nel combattimento corpo a corpo. Sa volare. Possiede sensi super-sviluppati ed un’intelligenza impareggiabile. È bella – forse troppo – e possiede un carisma ammaliante. È una vera leader. Ed è proprio su questo filone e su questa nuova identità di Wonder Woman, che si innesta il film di Patty Jenkins con l’attrice israeliana Gal Gadot ad oggi nelle sale italiane (questa la nostra recensione).
[1] Anjelica E. Delaney. (2014) “Wonder Woman: Feminist Icon of the 1940s.”The Kennesaw Journal of Undergraduate Research: Vol. 3, Iss. 1, pp. 2.
[2] Betty Friedan. (1963) The Feminine Mystique. New York: W. W. Norton & Company, Inc., pp. 20.
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