Due anni dopo aver vinto il talent “X-Factor”, il percorso di Giò Sada non si è certo fermato. Già nell’intervista che gli facemmo circa un anno fa (https://www.myreviews.it/151294_intervista-a-gio-sada-dopo-x-factor-e-il-disco-ora-ecco-il-nuovo-tour/) il cantautore pugliese ci parlò dei suoi progetti e del suo modo di vivere il post programma. Oggi, ad un anno di distanza, lo ritroviamo in occasione della Milano Music Week, settimana in cui la città lombarda è diventata la capitale anche della musica, ospitando concerti ed eventi che hanno coinvolto vari artisti. “X-Factor” in particolar modo ha rappresentato una tappa importante del programma dell’iniziativa visto che, sul palco preparato vicino Corso Como, si sono alternati diversi artisti usciti dal talent e alcuni dei concorrenti di questa edizione.
Il live di Giò Sada ha rappresentato, in tal senso, uno dei momenti più importanti della settimana. L’artista ha messo in mostra davanti al suo pubblico quello che forse è il suo vero “fattore X” e l’elemento che lo contraddistingue rispetto a molti suoi colleghi: la sua duttilità. Ascoltando i brani e quindi inevitabilmente un live di Giò Sada si rimane infatti colpiti dalla grande varietà di sonorità e testi che si possono incontrare, il tutto mescolato con quell’ingrediente segreto – la sua voce – che del resto gli ha permesso di primeggiare all’interno del programma nonostante fosse in competizione con altri artisti di indubbie qualità. Noi di MyReviews lo abbiamo incontrato a Milano proprio pochi momenti prima del suo live per parlare con lui del suo percorso artistico e di tutto ciò che è venuto dopo “X-Factor”.
Partiamo dal contesto in cui ci troviamo: l’incursione del mondo di “X-Factor” nella Music Week di Milano, di cui fa anche parte il tuo live. Come ti ha cambiato l’esperienza del talent?
Decidere di partecipare ti mette un po’ a rischio. Prima del programma io già andavo in giro a suonare e sapevo che un’esposizione così grande sarebbe potuta essere rischiosa, ma era arrivato il momento di compiere anche scelte azzardate. Ho deciso poi di intraprendere quella strada lì anche per capire un po’ come funzionava “il sottosopra della musica italiana”, perché è anche importante conoscere l’ambiente in cui vuoi lavorare. Il talent mi ha permesso di tuffarmi nel marasma del mondo musicale italiano e conoscere tutte le persone che lo compongono, permettendomi anche di capire con chi lavorare e con chi no. Parlo anche dei produttori che magari vogliono stravolgere tutto. In un percorso a gradini è normale fare anche scelte sbagliate, però dopo due anni ora ho un quadro più chiaro e ho scelto di riprendere la strada dell’indipendenza, anche d’accordo con la Sony. Sono tornato a quella dimensione lì, di totale libertà, cosa che quando lavori con altre persone è difficile, perché magari si aspettano un certo tipo di musica da te.
Ora scrivi pezzi molto diversi tra loro e molto diversi anche dal personaggio che si era creato nel programma. Ad “X-Factor” però, proprio per la natura del programma, hai dovuto anche realizzare delle cover. Qual è quella che ti è piaciuta più fare?
Ce ne sono state diverse. Ad esempio mi è piaciuto molto fare “Retrograde” perché è stata davvero una sfida. Ebbi anche dei problemi per farla, perché non sentivo e pensavo di aver sbagliato tutto, ma invece andò bene. E poi, inutile dirlo, quella della finale: “Best of you”. È stato un bellissimo momento ed è uscito tutto ciò che doveva uscire. Ho un po’ di difficoltà a far capire che mi piace molto quel tipo di sonorità ma anche più pesante, m che mi piacciono anche i suoni più semplici, vicini al silenzio. Quindi anche ora sto cercando di unire tutte le sfumature musicali che apprezzo, ma è una cosa per cui inevitabilmente ci vuole tempo. E anche in questo senso la scelta dell’indipendenza è funzionale: posso fare le cose per bene, senza scadenze da rispettare e senza mancare di rispetto al lavoro di chi magari subirebbe eventuali ritardi.
La prima domanda è simile a quella che ti feci circa un anno fa. All’epoca mi dicesti che la cosa che più hai capito nel post “X-Factor” è proprio la fretta che hai addosso. Ora però è passato un altro anno. Tirando un bilancio di questi mesi passati, Giò Sada sta riuscendo finalmente a fare ciò che, musicalmente parlando, voleva fare?
Dopo due anni passati proprio dentro all’industria musicale, proprio per capire, abbiamo preso la scelta che dovevamo prendere. Adesso sta cominciando il percorso senza appunto la fretta del post programma. Riuscire a lavorare dopo il programma è difficile, hai sempre appuntamenti fissati ed è difficile lavorare. Io non mi servo molto di autori perché mi sento di dover scrivere io con la band con cui lavoro, che sono tutti miei amici. Anche con loro sto imparando, perché per certi versi abbiamo iniziato a fare pop da due anni, ma pian piano stiamo crescendo. Stiamo imparando anche cosa rifiutare e cosa accettare e a capire quelle che devono essere le nostre strategie, che sono magari diverse rispetto a quelle che venivano fuori dal talent. Per farti un esempio: nel programma c’era questa sorta di figura di me come se fossi un sex symbol. In realtà sono tutto il contrario, cioè sono una persona molto timida e sono fidanzato da un anno e mezzo, non sono un donnaiolo. Tutto ciò mi sta permettendo anche di conoscere me stesso, come tutti ho le mie debolezze, ho avuto le mie crisi e i miei dubbi. Ci sono stati anche questi momenti, dovuti anche al fatto di trovarsi in una cosa che non conosci. Però posso dirti che in questi due anni ho affrontato anche un percorso di auto-analisi, anche “spirituale” per certi versi, per andare oltre. Mi interessa meno dover apparire o dover vendere a tutti i costi.
Tra pochissimo inizierà il tuo live che fa appunto parte della Music Week. Cosa deve aspettarsi chi va ad un tuo live?
Tutto. Penso ad esempio agli spettacoli a teatro che hanno diversi momenti: la stessa cosa vorrei fare nei miei live. Un disco è la storia di un periodo preciso. Quindi chi viene ad un concerto può trovare energia o può trovare magari pezzi più introversi ed emozionanti. Non mi sono mai piaciute le definizioni e non riuscirei a farlo con la mia musica e questa per certi versi è la mia forma di libertà. Quindi posso dirti che ci si può aspettare di tutto ma in particolar modo varietà e ricerca, perché sperimentiamo molto e voglio proporre sempre qualcosa di nuovo.
Siamo ormai alle porte del 2018. Quali sono i tuoi progetti e cosa invece ti auguri?
Abbiamo già cominciato a lavorare sulle nuove cose. Non so ancora se si tratterà di un album o di un LP ma abbiamo tirato fuori quello che abbiamo scritto negli ultimi due anni e stiamo lavorando con il produttore Pasquale Pezzillo, una persona molto importante nel suo campo. La strada che stiamo prendendo è anche legata all’ambientazione sonora. Io sono sempre stato un grande ammiratore dell’improvvisazione: anche in un brano è importante sentire il “dono emotivo” dalla quale è venuto quel pezzo, cioè quelle sensazioni che ti permettono di sfruttare le tue capacità per generare un lavoro artistico e quello che stiamo provando a fare è tirarle fuori. Non avrà un genere preciso sia perché non ho mai amato le etichette sia perché appunto emozioni diverse hanno inevitabilmente suoni diversi e, in tal senso, stiamo prestando grande attenzione alla componente del suono. Io amo le colonne sonore e ho voluto anche mischiare un po’ le carte e stravolgere un po’ la forma del cantautorato moderno. Del resto, spesso tendiamo a seguire i piani e non rischiare mai. Io invece non riesco a stare in un canone ben stabilito, mi sentirei poco stimolato.
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