Suburbicon. Ovvero vorrei ma non posso… Che genere di film è? Non saprei davvero cosa rispondere a questa domanda… Giallo? Grottesco? Dramedy? Nonostante George Clooney (Le Idi di Marzo, Monuments Men, In Amore niente regole, Good Night & Good Luck) alla regia (ma che, per inciso, qui cura anche la sceneggiatura e la produzione), nonostante i fratelli Coen e nonostante Julianne Moore e Matt Damon… il film naufraga tra dialoghi inconsistenti – a voler esser buoni… – e personaggi che definire bizzarri è poco.
La trama: Suburbicon ovvero un sobborgo anni ’50 a stelle e strisce. Gardner Lodge (Matt Damon) è un uomo di specchiata virtù che abita nella ridente cittadina insieme alla sua famiglia in una delle villette pastello costruite con lo stampino. La sua pacifica esistenza viene stravolta da una brutale violazione di domicilio, sarà allora che, riscontrando la stessa lentezza e placidità nelle attività investigative, deciderà di farsi giustizia da solo. L’uomo perbene, consumato dal ricatto e dalla vendetta, è il primo a svelare la maschera di conformismo e ipocrisia che nasconde le meschinità della periferia e della natura umana.
La bonaria e dissacrante ironia che ci viene spacciata per caustica presa per i fondelli dell’uomo medio a stelle e strisce, non funziona, perché il contesto in cui è espressa è troppo vago e al tempo stesso ampio da poter incidere realmente sul giudizio dello spettatore. Un ammasso di parole informi, di gesti, di modi di dire che vorticano nella sala ma che non piombano giù come accade nella migliore commedia grottesca o che sa di black humour, ad esempio. La famiglia di colore che si scontra con l’intera cittadina razzista e retrograda si rivela essere poi non critica sociale ma solo “espediente” per coprire il finale di Damon e soci. Troppe le cose lasciate al caso, su cui immeritatamente si sorvola. La trama così ne risente, traballa e le due interpretazioni di Matt Damon (Bourne saga, Ocean’s saga, Interstellar, The Martian, Elysium, Contagion) e Julianne Moore (Hunger Games, Maps to star, Don Jon, Crazy, stupid, love, Chloe) vacillano sotto le profonde lacune di scrittura e regia che trascinano la storia per oltre un’ora e quarantacinque minuti senza riuscire ad incidere veramente e oltretutto confrontandosi con tematiche universali così importanti che, nel panegirico peregrinare dei protagonisti, finisce per perdersi in una mera toccata e fuga indegna. In sostanza: poco arrosto e troppo fumo quando avrebbe decisamente dovuto essere il contrario. Avete del tempo libero? Un consiglio: passatelo con i vostri cari e risparmiatevi diottrie.
Suburbicon – Recensione
4
voto
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