The Greatest Showman, ambientato agli inizi dell’ottocento, è la storia vera di un bambino, rimasto orfano, che ha come obiettivo quello di realizzare i suoi sogni. E ci riesce. Il messaggio insito in questi 104 minuti di pellicola è che non bisogna vergognarsi per ciò che siamo perchè solo accettando noi stessi potremo essere felici.
Tema molto importante e troppo poco spesso evidenziato sullo schermo, che in questo film, soprattutto grazie alla potenza delle canzoni e dei protagonisti, riesce ad eccellere e ad arrivare al cuore di ogni spettatore, che ha la possibilità di immedesimarsi in ognuno di essi.
Phineas Taylor Barnum (Hugh Jackman) è un uomo che crede nel sogno americano e a seguito di un licenziamento non si perde d’animo. Reinventa se stesso, si crea una identità nobile e sposa il suo amore di gioventù, Charity (Michelle Williams), che lascia la sua famiglia borghese per seguirlo, e dalla quale avrà due figlie. Barnum è una forza della natura, per lui niente è mai abbastanza, non si accontenta e vuole sempre di più. È convinto che ogni progetto possa essere realizzato “cinque volte più grande e dappertutto”. Inizia aprendo un museo delle stranezze nel cuore di New York, e poco dopo va alla ricerca di soggetti unici e particolari per aprire un circo in cui fa esibire queste persone con strane deformità ma con grande personalità come la prorompente donna Barbuta (Keala Settle), il gigante, il nano e la trapezzista di colore (Zendaya). Questa continua ricerca di eccessi si trasforma in una ricerca di approvazione sociale senza fine, grazie proprio al suo disinteresse verso le critiche negative. Per riuscire ad accattivare anche il pubblico borghese che lo ha sempre tanto criticato ingaggia una cantante, Jenny Lind (Rebecca Ferguson), conosciuta durante un viaggio con la famiglia in Inghilterra, invitati dalla Regina Vittoria. Diventa quindi l’inventore dello Showbusiness in una società che male accetta la diversità.
Oltre all’accettazione di se stessi, questo film affronta anche temi come la tolleranza, soprattutto grazie alla storia d’amore tra la trapezzista di colore e il partner di affari di Barnum, Philip Carlyle (Zac Efron) che rappresenta il rapporto tra stati sociali e diverse culture espresso con passione dalla danza e la canzone dei due innamorati, che smettono di nascondersi dalla società ed esprimono il loro amore al mondo.
La trasposizione di questa biografia sul grande schermo era in cantiere da tempo, ma solo nel 2013 sono iniziati i veri lavori. Hugh Jackman ha voluto espressamente rappresentare Barnum e ha scelto il regista e compagno di avventure con cui avrebbe affrontato questo viaggio Michael Gracey, ma nessuno voleva dar loro fiducia all’idea di trasformare una biografia in un musical. Non a torto si potrebbe aggiungere, perchè il risultato è stato approssimativo, accade tutto troppo in fretta senza continuità tra una scena e l’altra, e sembra più un normale racconto interrotto da qualche splendida ed incredibile canzone totalmente staccata dal resto. Questo fa di “The greatest showman” un film bicefalo, emozionante e brillante nelle parti musicali che sono una serie di piccoli assoli perfetti, ma scialbo nelle parti in prosa per i dialoghi banali. Jackman, dotato di talento canoro e gran carisma trascina gli altri, e ciò rende il musical apprezzabile seppur incostante.
I colori, l’energia, così come le canzoni sono favolosi e ricordano molto il capolavoro di Baz Luhrmann “Moulin Rouge”, e anche se entrambi aspiravano allo “spettacolo spettacolare”, The Greatest Showman ha mancato l’obiettivo causa la sceneggiatura. Tutta la storia biografica è satura di luoghi comuni sulla famiglia e il farsi accettare dalla società, manca quel legame tra prosa e musica che altri capolavori come il già citato Moulin Rouge, Nine, Chicago e il più recente La La Land invece avevano. Questo non vuol dire che la visione sia sgradevole, e non possa conquistare, perchè le performance musicali rimangono impresse nella memoria e nel cuore dello spettatore tanto che viene voglia di andarli subito a risentire una volta usciti dalla sala, merito anche degli autori Pasek and Paul premiati l’anno scorso con l’oscar per “City of Stars”.
Tutti i Freaks hanno numeri musicali importanti, soprattutto la Donna Barbuta ( Keala Settle) che con “This is me” ha ottenuto anche una nomination all’oscar per la categoria miglior Canzone Originale, purtroppo non viene mai dato loro lo spazio giusto per emergere.
In conclusione rimane una pellicola originale, con una sfolgorante coreografia, e una incredibile colonna sonora piacevole da vedere.
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