I libri, l’amore, la vita. Suona come un paradigma antologico l’ultimo lavoro di Matteo Vicino, il cui seducente titolo racchiude già l’impianto circolare della storia (si veda la “E” speculare sulla locandina). Lovers sono gli amanti, i sentimenti dei personaggi in gioco, ma sono anche gli sfacciati vuoti al centro delle loro esistenze. Quattro vicende distinte che a guardar bene compiono un solo e unico viaggio. Alla sua terza opera l’autore di Young Europe (2012) esegue una messa in scena per sottrazione: un quadro dai contorni oscurati e un occhio di bue a mirarne l’essenziale. “Mirare” non a caso, né con troppa distanza dal lavoro di un cecchino, perché nel cinema di contenuto (e ultrapremiato all’estero) a cui non siamo abituati, la camera ha preso il posto di un fucile. Una lente che punta alcune personalità (ridotte all’osso) non come cliché, ma come profili di una miseria umana ritagliata chirurgicamente. Replicanti di un caos sociale, ritratti di gesti egoriferiti, tragiche figurine del linguaggio infecondo di un Sistema.
Lovers è una commedia amara che declina, non senza un gustoso pungente umorismo, le dinamiche dei peccatori moderni, capitalisti di beni materiali e di successo; ma soprattutto portatori insani o inconsapevoli di un indefesso declivio culturale. Che il punto di vista sia maschile o femminile rimane intatta l’incomunicabilità, l’involuzione etica per cui ogni relazione subisce una corruzione e ogni corruzione diventa abitudine. Niente paura, Vicino non crea un dramma oltre quello che esiste già, piuttosto lo cristallizza in quattro atti, addolciti anche con musica classica. Edgar Allan Poe come monito nel disegno irrefutabile di questo teatro senza fine amplia poi un ragionamento su fronti opposti, a prova evidente che non c’è un livello di immunità contro questo contagio. Ogni volto, ogni evento e rango sociale, persino ogni parola (volutamente) ripetuta rappresenta l’apice di un’esasperata ignoranza. Ossia quel viceversa di ruoli e di un ottimo cast, in cui la vita si riduce all’inconsistenza di vincitori e vinti, meglio se perdenti.
Dalla fotografia di Italo Calvino alle istantanee in App, con cui il regista si presta a un sarcastico cameo, il film allarga poi l’inquadratura, riavvolgendosi sulla scia conclusiva di Closer (2004) nella moltitudine di tante facce e altrettante possibilità. Marca un po’ troppo sulla letteratura di ieri contro la vendita selvaggia dei “talenti” di oggi, ma il principio è di aprire una breccia nel cuore di chi almeno si pone un dubbio.
Siamo all’irreparabile osmosi di una decadenza intellettuale e l’unica cosa che resta è ricominciare a leggere, a innamorarsi più della conoscenza e meno della copertina. Perché sì, dai libri nasciamo tutti, ma riusciamo davvero a capire che razza di pagine (e persone) sono quelle che abbiamo tra le mani?
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