La commedia, che nella trama affronta tematiche come la disoccupazione, il precariato e la corruzione, ci rimanda l’immagina di un’Italia alterata e ipocrita. In un paese in cui si fa carriera grazie a “spintarelle” e raccomandazioni, la meritocrazia, l’impegno e il talento vengono accantonati e penalizzati da questo subdolo meccanismo. Questo lo sa bene Antonio Bonocore (Guglielmo Poggi), giovane praticante in legge che sogna di entrare a far parte del mondo cinico ed elitario degli avvocati. Per riuscire nel suo intento Antonio lavora alle dipendenze del famosissimo Salvatore “Toti” Bellastella (interpretato da Sergio Castellitto, che si cala abilmente nel personaggio regalandoci una performance sublime), avvocato penalista del foro romano, nonché suo insegnante in facoltà di giurisprudenza. Il ragazzo, pur di emergere, si piega a ogni volontà del borioso prof. Bellastella: per lui Antonio fa il cuoco, il segretario, l’assistente, l’autista, il portaborse… Tutto, tranne l’avvocato!
Scoraggiato e stanco di vedere persone, molto meno capaci di lui, fare carriera solo grazie agli agganci, Antonio prende il coraggio di chiedere a Bellastella il famoso e tanto agognato contratto. Una volta accordatosi con il professore, al ragazzo si prospetta un futuro lavorativo meraviglioso: diventare socio dello studio, avere uno stipendio da capogiro e la possibilità di essere guidato dal suo mentore nel mondo giuridico e istituzionale. In cambio di tutto questo, però, il professore esige un ultimo – a sua detta piccolissimo – favore: Antonio dovrà sposare Isabel(Maria Clara Alonso), l’amante argentina di Toti, per farle ottenere la cittadinanza italiana.
In fondo, assicura l’avvocato, si tratterebbe solo di una piccola firma in Comune… No?
Lo spunto di partenza del film è proprio la realtà, in quanto situazioni simili sono all’ordine del giorno. La narrazione è in prima persona, come fosse quasi una confessione, un monito, ma anche una denuncia sociale. Antonio ci parla delle sue disavventure come a voler testimoniare l’incoerente andamento di una società che si mostra rispettabile e onesta, nascondendo le sue brutture e la sua forte amoralità. Allegro, satirico, divertente, il film usa il linguaggio della comicità per veicolare un messaggio serio e ben poco ironico.
“Il tuttofare”racconta una dimensione, purtroppo, realistica e veritiera. La difficoltà di affermarsi professionalmente dei giovani – quelli senza raccomandazioni, ovviamente – è un problema quanto mai attuale. Troppo spesso la meritocrazia non porta da nessuna parte, l’impegno e la passione idem. Ben altri sono i requisiti richiesti: conoscenze, appoggi, legami con chi ricopre alte cariche – pubbliche e non – e così via. E allora i tanti Bonocore di tutta la nazione si trovano costretti a sgobbare tutto il giorno, tutti i giorni, per uno stipendio da fame o nullo – perché con la scusa di “imparare un mestiere” qualche furbetto si permette anche di non elargire alcun compenso ai suoi collaboratori. Pur di farsi strada, Antonio si annulla, quasi perde la sua dignità, per alimentare l’ego spropositato e madornale di Bellastella.
È questo il sottile e implicito “ricatto” che troppo frequentemente un mentore esercita sul suo allievo. E se è vero che per eccellere realmente in un campo bisogna prima “sporcarsi le mani”, mandar giù tanti rospi e fare una lunga “gavetta”, è altrettanto lecito rifiutarsi di scendere a sconvenienti compromessi.
Il tuttofare – Recensione
6.5
voto
Lascia un commento