Il mistero di Donald C., che usciva nelle sale il 5 aprile, è la nuova biografia del regista James Marsh che abbiamo già avuto modo di apprezzare con il suo capolavoro La teoria del tutto.
Questo film è la storia vera di un uomo in cerca di fama che abbandona gli affetti per tentare di realizzare il suo sogno. Siamo nel 1968 quando il Sunday Times indice una Golden Globe Race, ovvero una regata velica in solitaria intorno al Mondo senza soste.
Donald Crowhurst (Colin Firth), nonostante sia un velista principiante, vuole partecipare a tutti i costi alla regata e si indebita affinché la sua barca possa essere pronta ad affrontare il viaggio. La moglie Clare (Rachel Weisz) lo ama moltissimo e lo vorrebbe al suo fianco, ma capendo l’importanza che questo viaggio ha per il marito, lo sostiene e lo aiuta. È un sognatore ed è carico di entusiasmo per questa avventura ma ad aggravare la situazione c’è la revisione dell’imbarcazione che è ancora molto approssimativa al momento della partenza. Lui parte comunque pensando di poter recuperare una volta in mare.
Donald è fermamente convinto di meritare il premio e finire sulla prima pagina di tutti i giornali, ma il mare non fa sconti a nessuno e lo percepisce presto quando capisce di non essere pronto per questa impresa dovendo così pagare il prezzo della sua ambizione. È una persona comune che sfida la sorte per orgoglio, non vuole mostrare le sue debolezze e quando si rende conto di non poter far nulla per recuperare alle tante bugie dette, chiede misericordia per se e per la sua barca, per aver mentito, per aver abbandonato la famiglia e per aver nascosto a tutti la sua vera posizione e condizione, ma soprattutto per aver nascosto il suo vero io dietro a qualcosa di più grande che lui non è. The Mercy infatti è il titolo originale del film, ovvero “Misericordia” perché è proprio ciò a cui si affida alla fine Donald quando capisce di non aver più nulla da fare.
Chi conosce la storia vera di Donald Crowhurst sa anche quale sia la sua fine, chi invece ne sente parlare per la prima volta rimarrà colpito dall’epilogo ben strutturato.
Marsh ci descrive un semplice uomo che deve fare i conti con le conseguenze delle sue scelte, il mare è la rappresentazione della vita e le sue avversità e Il mistero di Donald C. unisce tutto questo attraverso la descrizione di fatti realmente accaduti. Diventa una narrazione lineare e semplice, contornata da una spettacolare fotografia ma con poche emozioni coinvolgenti che lasciano lo spettatore distaccato.
Qualche appunto lo si può fare alla sceneggiatura di Scott Z Burns, che dà poche spiegazioni circa le strane scelte del protagonista. Chi non conosce la storia non riesce a capire perché un uomo della bassa borghesia, con un futuro molto incerto si avventuri verso l’ignoto lasciando le poche certezze che ha.
Il regista riesce a trasmettere questa sensazione di vuoto quando vediamo Donald alla deriva solo sulla sua barca, che capisce di esserlo sempre stato, perché non si è mai accettato per quello che è. Quello che non trasmette a pieno invece, anche se l’intenzione c’è, è l’empatia tra l’uomo schiavo dei suoi sogni e lo spettatore, l’inizio è frettoloso e non ben descritto e l’epilogo è privo del phatos che dovrebbe esserci quando la famiglia aspetta al molo una barca che non arriverà.
Colin Firth e Rachel Weisz rimangono i grandi interpreti di questa narrazione. Rachel ha una intensità di espressione coinvolgente e riesce a creare quell’empatia con lo spettatore che manca invece con l’interpretazione di Donald. Lo spettatore soffre con lei che con angoscia e determinazione, nonostante il marito sia lontano da mesi, riesce ad occuparsi della casa, dei figli e a farsi rispettare da una società selettiva e conservatrice che non vede di buon occhio le donne forti che vogliono farcela da sole.
Il film quindi è una metafora della vita stessa, sempre in bilico tra doveri ed incertezze, con un tragico epilogo che non ci si aspetta.
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