Almeno un riconoscimento rilevante l’avrebbe meritato questo Sulla mia pelle, se non altro per l’interpretazione strepitosa di Alessandro Borghi, ma la giuria della 75esima Mostra internazionale d’arte cinematografica di Venezia probabilmente non ha voluto sporcarsi troppo le mani con un film dolorosamente attuale, troppo incandescente per la sua appassionata denuncia del sistema carcerario italiano e della mancanza d’informazione su quanto avviene all’interno degli istituti detentivi.
II film è candidato a rappresentare l’Italia per la corsa agli Oscar 2019, ed è facile intuirne il motivo dopo essere usciti dalla sala: un racconto potente, che non lascia spazio a facili sentimentalismi per la narrazione asciutta e cronachistica, ma che riesce ugualmente a colpire al cuore e centrare il bersaglio dell’indignazione e della sete di giustizia. ll regista e autore della sceneggiatura Alessio Cremonini sceglie di raccontare la vicenda di Stefano Cucchi, morto nel 2009 durante la custodia cautelare a Regina Coeli, attraverso la ricostruzione degli ultimi sette giorni di vita del 31enne romano. Una vicenda assurda resa sullo schermo con sobrietà e rigore.
La lunga notte dell’arresto, del pestaggio, dell’odissea in manette di Stefano Cucchi hanno quasi il sapore di un percorso attraverso le tante stazioni di un via crucis carceria. Sono la pietà, la condivisione di quel dolore, la rabbia per la disperazione introvertita di Stefano che gli impedisce di chiedere giustizia a voce alta, a trafiggere lo spettatore. Tanti sono gli elementi che concorrono al raggiungimento di questo risultato. A cominciare dall’interpretazione di Alessandro Borghi, che ha compiuto uno straordinario lavoro su se stesso. Per questo ruolo l’attore è dimagrito di 18 chili e ha trovato una chiave di lettura del personaggio modificando la propria voce fino a farla divenire uno strumento psicologico, in grado di permetterci di comprenderne la fragilità E poi la fotografia, quel filtro bluastro che ci restituisce degli interni indifferenti all’elemento umano, le brevi carrellate sulla muta nudità dei muri opachi della prigione.

Alessandro Borghi con Max Tortora, che interpreta il psdre di Stefano Cucchi
Sarebbe tuttavia sbagliato considerare Sulla mia pelle un film schierato, che intende a tutti costi trascinare il pubblico dalla parte del protagonista. Quella di Cremonini è un’opera onesta, che non intende fare dei carcerati le vittime e dei carabinieri i carnefici.Il film non strizza l’occhio a nessuno, i carabinieri non diventano i cattivi e neanche la figura di Stefano ne esce santificata. La pellicola narra in modo asciutto e puntuale la vicenda, e la violenza è esclusa. Anche la scena del pestaggio si risolve con una semplice porta chiusa a lato di un corridoio. Semmai sono l’indifferenza e il silenzio a essere messi sotto accusa, insieme alla disumanità di una burocrazia che tutto appiattisce e calpesta. I genitori di Stefano apprendono della sua morte della notifica per l’autopsia, dopo che la loro richiesta di vistare il figlio è stata più volte respinta a causa di un’autorizzazione del magistrato che si scontra con gli orari del carcere. E si divora i pochi giorni che ancora rimangono da vivere a Cucchi.
Agli intensi Jasmine Trinca e Max Tortora, che rimangono tuttavia in secondo piano rispetto alla vicenda, sono riservati i ruoli della sorella Ilaria e del padre del ragazzo morto in carcere.
Sullo scorrere dei titoli di coda la voce autentica di Stefano che risponde al giudice lascia lo spettatore preda di una profonda commozione, stranamente simile a quella provata per il finale di Philadelphia, quando ad accompagnare i titoli di coda erano invece gli spezzoni dei filmini in super8 con Tom Hanks bambino.
Il film di Netflix è arrivato nelle sale cinematografiche ma è anche disponibile sulla piattaforma online, scelta che non ha mancato di alimentare polemiche sulla ristretta distribuzione nei cinema italiani.
Genere: Drammatico
Italia 2018
Durata: 100 minuti
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