An Elephant Sitting Still è l’opera unica del visionario regista Hu Bo, suicidatosi a montaggio ultimato.
L’adolescente Wei Bu ha deciso di scappare, in seguito a una rissa con un compagno di scuola finita male. Ad accompagnarlo in questa fuga ci sono Ling, sua compagna di classe in eterno conflitto con la madre, Cheng, che si porta dentro il rimorso per il suicidio di un amico, e il vecchio signor Wang, arzillo e contro corrente, che non vuole sottostare alla scelta del figlio di rinchiuderlo in una casa di riposo. La loro meta è bizzarra e curiosa. I quattro si dirigono verso Manzhouli (nella Manciuria), per assistere allo spettacolo di un elefante che, indifferente a tutto, se ne sta semplicemente seduto.
An Elephant Sitting Still è uno di quei film che bisogna guardare, per comprenderlo al meglio. Complesso e pregno di significati metaforici, il film ripercorre le strade di una Cina polverosa e disillusa, vista dagli occhi dei quattro protagonisti. Il loro è un viaggio duplice e parallelo, che si svolge esteriormente in un mondo violento, rabbioso e privo di empatia, e interiormente, alla riscoperta di quell’oscuro marchio che questo macabro universo ha impresso a ognuno di loro. In quasi quattro ore Hu Bo ci guida in questo percorso, che diventa poco a poco il senso stesso del viaggio.
Rifiutati da un mondo che non li comprende, traditi anche dalle persone più intime, i quattro protagonisti vogliono recarsi dal curioso elefante. Ognuno porta con sé il suo bagaglio di rimorsi e brutture, alla ricerca di quello che pare l’unico essere puro rimasto al mondo. Non si cura di nulla lui, e si lascia scivolare addosso tutto ciò che non riguarda se stesso. Completamente ignaro delle violenze e della tristezza comune a tutti gli esseri umani, l’elefante semplicemente sta seduto per conto suo, in una sorta di spazio esente dal tempo e da ogni logica puramente materiale.
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