Si può amare oppure detestare, M. Night Shyamalan, regista americano di origine indiana, che ha sempre diviso i consensi, suscitando entusiasmi o scatenando critiche, senza mai lasciare il pubblico indifferente. Definito il nuovo Spielberg, almeno fino al successivo insuccesso, Shyamalan è maestro di suspence e attesa, in un gioco sapiente di tempi e colpi di scena, come un puzzle che si compone nel corso della narrazione. Pur essendo di genere, non sono gli elementi orrorifici a caratterizzarlo, ma profondi ed inquietanti interrogativi circa il destino dell’uomo e la presenza del soprannaturale nella vita quotidiana.
Come Alfred Hitchckock, al cui cinema si ispira, Shyamalan ha il vezzo di apparire in un cameo in ogni suo film, non da comparsa ma ritagliandosi un minuscolo ruolo.
La sua abilità nello smuovere consapevolezze, emozioni e speranze, gli ha fatto ricevere 6 candidature all’Oscar – tra le quali quella come miglior regista – per Il Sesto Senso, The Sixth Sense, uno dei suoi primi lungometraggi, nel quale un uomo (Bruce Willis) e un bambino percorrevano insieme un viaggio a metà tra la morte e la vita. Da quel momento in poi la sua carriera è stata un susseguirsi di alti e bassi, tra clamorosi insuccessi e un desiderio di sperimentazione, unito ad una forte poetica personale, che lo ha portato verso strade poco battute e non sempre apprezzate. E venne il giorno, L’Ultimo Dominatore dell’Aria e After Earth, caratterizzati da elementi immaginifici, di fantascienza o mito, si rivelano sostanzialmente i suoi peggiori flop. Successi – sempre un po’ controversi – restano: Signs, cerchi di grano ad opera di entità aliene, The Village, fiaba mistery dall’effetto straniante ambientata in villaggio rurale del XIX secolo, Lady in the Water, mostri e divinità immersi nella piscina di un condominio, e The Visit, favola horror con ragazzini in vacanza da nonni agghiaccianti.
Shyamalan ci fa sempre imboccare una strada per poi scoprire che ne stiamo seguendo un’altra, in un percorso pieno di tranelli – talvolta persino sul genere di film che ci troviamo di fronte – e così vale per lo spazio e per il tempo, che nei suoi lavori non sono mai ciò che sembrano.
Ma Unbreakable – Il predestinato, nuovamente con Bruce Willis protagonista, un depresso e fallito vigilante che scoprirà qualcosa in più su se stesso solo nel finale, è un fantasy dai tempi dilatati che fallisce al botteghino, ma centra in pieno la visione del mondo di Shyamalan. Tanto che il film sarà il primo di una trilogia sulla natura e l’evoluzione umana. Il secondo è Split, il cui protagonista è un uomo dalle multiple personalità interpretato da James McAvoy. Il film inizia come un classico thriller con ragazzine rapite per poi approdare ben oltre – mescolando generi – e si conclude due anni dopo – forse – con l’attesissimo Glass, sequel e crossover dei due lavori precedenti, nel quale lo sfortunato e malvagio Samuel L. Jackson mostrerà tutto il suo potenziale.
Ogni eroe o eroina di Shyamalan sa cosa significhi la sofferenza e viene da un percorso difficile, alla ricerca di un riscatto, di una seconda possibilità, o semplicemente della speranza di scoprire che esiste qualcos’altro, oltre a ciò che si può vedere.
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