Consueto appuntamento del giovedì con film nelle sale nel fine settimana, consigliati dal critico Roberto Lasagna. I tre titoli scelti questa settimana, tutti in uscita il 24 gennaio, sono pellicole diverse ma tutte di valore. “L’uomo dal cuore di ferro” racconta i crimini di guerra del cosiddetto “Macellaio di Praga”, Reinhard Heydrick. “Se la strada potesse parlare“, tratto dall’omonimo libro di James Baldwin, narra attraverso una delicata storia d’amore la lotta per i diritti degli afroamericani. Infine, il pluripremiato e candidato all’Oscar “La Favorita“, sulla vicenda vera della regina Anna Stuart.
L’uomo dal cuore di ferro
Uscita: 24 gennaio. Genere; Biografico, azione, thriller. Paese: Francia. Regia di Cédric Jimenez. Interpreti: Jason Clarke, Rosamund Pike, Mia Wasikowska, Jack O’Connell. Durata: 119’
Un criminale nazista ma anche un padre di famiglia premuroso che, lasciati i figli ai loro giochi, non esita a indossare la divisa delle SS per prestarsi all’orrore dello sterminio quotidiano. Così è inquadrato nel film di Jimenez, Reinhard Heydrick, espulso dalla Marina tedesca che in breve diventa responsabile dell’Intelligence delle SS e poi protettore di Boemia e Moravia nonché corresponsabile della soluzione finale nei confronti degli ebrei. E’ lui il “Macellaio di Praga”, di cui si occuparono nel 1942 due giovani soldati, il ceco Jan Kubis e lo slovacco Jozef Gabcik, con una missione per eliminarlo. Ispirandosi al romanzo di Laurent Binet “HHhH”, il film non è solo il ritratto affilato di un personaggio mediocre destinato a una sconcertante fama, ma una descrizione dettagliata dei comportamenti dei criminali nazisti, nei cui confronti risaltano i dilemmi morali dei resistenti, esemplari nel far risuonare il valore umano del loro comportamento. La violenza non è giustificata dalla violenza e nessuna guerra necessaria esce glorificata dalle immagini che ci descrivono l’ascesa a un potere inappellabile di vita e di morte del mediocre Heydrick, che assurge al comando delle SS ben prima che Hitler divenga cancelliere del Reich: un ritratto in cui il popolo nazista non appare unicamente prono al dittatore, ma banalmente corresponsabile e amplificante le gesta del leader politico criminale. La scalata al potere di questo mediocre individuo, aiutata da una sposa altrettanto manipolatrice e disumana che favorì con il suo comportamento la progettazione delle sterminio razziale, è il controcanto dell’analisi psicologica degli attentatori che pensarono anche alle possibili conseguenze che il loro comportamento avrebbe scatenare sui civili: quel rischio di rappresaglia che fu un’altra delle perversioni di una guerra che onorò lo sterminio in ogni sua forma.
Per chi non dimentica le gesta e gli orrori di Heydrick, il potente criminale nazista.
Se la strada potesse parlare
Uscita: 24 gennaio: Genere: Drammatico, Sentimentale. Paese: USA. Regia: Barry Jenkins. Interpreti: Kiki Layne, Stephan James, Regina King, Tevonah Parris. Durata: 119’.
Immagini eloquenti per avvolgere lo spettatore con il dramma di Fonny, il fidanzato di Tish che aspetta un bambino ad Harlem, negli anni Sessanta, e dovrà accontentarsi di guardare il suo amato dalle grate delle sbarre, perché Fonny viene incarcerato per un delitto che non ha commesso. Il regista Barry Jenkins, dopo l’Oscar per Moonlight, ritrova la prevaricazione e l’ingiustizia portando sullo schermo il libro di James Baldwin “If Beale Street Could Talk”. Cosa direbbe la strada se potesse parlare? La verità, probabilmente. La stessa verità sull’ingiustizia sociale che vollero urlare Malcolm X e Martin Luther King, assassinati prima del momento in cui è ambientato il romanzo di Baldwin. Condizioni in grado di spiegare molto bene il clima di rabbia e disillusione che ispira la comunità afroamericana nel film. Drammatico e sentimentale, il film di Jenkins si occupa, come il recente come Green Book, dei diritti degli afroamericani e cerca l’empatia ritrovandola in un racconto romanzato in cui si chiede molto agli interpreti; si guarda ai giovani e al loro futuro, che non si vuole spezzato ma proiettato verso la liberazione dalla paura. Lunghi dialoghi e primi piani sostenuti danno al racconto un tono introspettivo, che talvolta trabocca nell’enfasi e non mantiene sempre la stessa intensità emotiva. Anche la musica concorre alla temperatura sentimentale e drammatica in cui i volti, specie quelli dei protagonisti, evocano la persistente necessità del bello, della grazia, da contrapporre allo squallore e all’ingiustizia sociale, al disagio mantenuto programmaticamente ai danni di chi lotta ai piedi della gerarchia e ha la pelle nera. Intenso e vibrante, un film che punta al cuore.
Un film sul sentimento dell’uguaglianza coronato da musica e bellezza.
La Favorita
Uscita: 24 gennaio: Genere: Storico Drammatico. Paese: Irlanda, Gran Bretagna, USA. Regia: Yorgos Lanthimos. Interpreti: Olivia Colman, Emma Stone, Rachel Weisz, Nicholas Hoult, Joe Hoult. Durata: 120’.
Dieci candidature agli Oscar per il nuovo film di Lanthimos, il primo non scritto dal regista che qui si mette al servizio delle sue interpreti e scandaglia la forma del gioco di ruolo cogliendo in essa la struttura che domina le relazioni, nel Settecento de La favorita così come, senza troppa finzione, nell’epoca attuale. Sceneggiato in maniera impeccabile Da Deborah Davis e Tony McNAmara, è il racconto del primo Settecento che vede come sfondo la guerra tra l’Inghilterra e la Francia mentre in primo piano si staglia la fragile e volubile regina Anna che siede sul trono con il paese governato per sua vece dall’amica intima Lady Sarah Churchill: quest’ultima è la sola a salvaguardare le cure della sovrana e il suo temperamento non facile, dominandola in una relazione di tensione psico-sessuale. Sarà però anche l’affascinante Abigail Masham, persa al gioco dal padre quando aveva appena quindici anni e presto costretta a subire le violenze di un tedesco grassone sotto dotato, ad accattivarsi i favori della regina diventandone a sua volta la confidente, approfittando degli impegni di Sarah occupata con la guerra in corso. Abigail, dietro l’aspetto innocente, si mostrera’ una scaltra calcolatrice, e potrà così realizzare le sue ambizioni tornando alle radici aristocratiche da cui è stata violentemente declassata. Tre personaggi interessanti, psicologicamente complementari nel teatro di sopraffazione quotidiana che li avvicina, dove la sovrana si scopre subito come una donna debole e seminferma per la gotta, segnata dal dolore per la perdita dei figli nati morti o persi prima del parto (diciassette come i coniglietti ai quali è legata in una disperata ricerca di affetto). Tenerezza, disgusto, ma anche ilarità e rabbia, sono emozioni che riesce a destare la prova di Olivia Colman, che nel dare volto alla regina Anna libera il campo di battaglia per le manipolatrici Rachel Weitz ed Emma Stone, straordinarie nel restituire il clima di arrivismo ma anche la gelida e reiterata messa in scena attraverso cui Lanthimos mostra il Settecento meno illuminato, più compromesso con il lato animalesco del vivere. La corruzione dell’anima e’ tutt’uno con i metodi utilizzati dalle due arriviste per manipolare la regina, psicolabile eppure donna, figura dolente come in un film di Fassbinnder. Le aspiranti al potere tentano di accaparrarsi il gradino più alto di una gerarchia per prendere de distanze dalla pozza di fango dal valore chiaramente simbolico in cui sin da subito il regista e la Storia gettano la donna. Il cineasta, che raffina il suo stile rendendolo prezioso ed elegante senza che sia possibile non pensare a Kubrick o a Rossellini, e sovverte il genere trasgredendo di continuo anche nei ralenti e nell’uso dei grandangoli, recupera i toni alti di Alps e continua a raccontarci con lucidità impietosa il mondo attraverso il suo sguardo chirurgico. Questa volta si affida alla bravura trascinante delle sue interpreti per raccontare attraverso i loro volti e le loro repentine trasformazioni una vicenda in cui i personaggi sono camaleonti che non cambiano mai davvero mentre si scoprono per quello che sono. L’eloquenza della forma, qui al servizio di un disegno comunicativo di ampio respiro, trova ne La favorita una sintesi compiuta nei toni di un cinema che parla della condizione femminile senza fare sconti, mostrandoci il funerale del desiderio è una concezione nichilista in auge del sentimento amoroso. Un altro film bello di Lanthimos, intenso e agghiacciante nei temi, destinato a piacere ma anche a fare male. Come succedeva con Fassbinder.
Per chi cerca grandi prove d’attrice e una regia sapiente.
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