Martin Scorsese sta ultimando il suo The Irishman in cui ritroviamo Robert De Niro a fianco di due attori feticcio del regista, Harvey Keitel e Joe Pesci, insieme con Al Pacino. Il regista sta trattando con Netflix per garantire una distribuzione normale nelle sale nel 2019.
Dopo i premi Oscar attribuiti a Roma di Cuaròn, Netflix sembrava poter restare tranquilla: tre settimane di distribuzione nelle sale avevano garantito l’accesso alla gara. Ma Scorsese, come Spielberg, ritiene che la sala cinematografica sia il luogo prediletto per il suo film e confidiamo che la conclusione dell’accordo porti a una distribuzione concreta di un’opera che vedrà ricomporsi il casting di Quei bravi ragazzi.
Goodfellas – titolo originale del clamoroso film di Scorsese del 1990 – è uno degli episodi a cui lo stesso regista si è rifatto nella filmografia successiva, persino per Wolf of Wall Street, ed è plausibile che in The Irishman si colga il filo rosso della continuità tematica e stilistica che caratterizza il cinema del regista di Taxi driver. Nel suo film di Mafia del 1990 il regista metteva a fuoco le leggi dell’oppressione e descriveva la vita frenetica di un aspirante gangster, la falsità di una scena sociale nella quale non è prudente fidarsi neppure del proprio compare. Quei bravi ragazzi iscriveva una corsa visiva sgargiante nel magma di una vita ritmata selvaggiamente dallo sfavillio di soldi, gioielli, abiti pregiati, cocaina, luci, colori, grandi cene, tronfie cerimonie, sparatorie, omicidi efferati. Un vortice di assolutismo e di indecifrabilità nel quale il senso della giustizia assumeva una connotazione personalizzata e arbitraria.
Lo affermava il protagonista Henry Hill (interpretato da Christopher Serrone da ragazzino, quindi da Ray Liotta da adulto) nel presentarci il boss Paul Cicero: il sistema mafioso predispone uno speciale tipo di “polizia” per chi non può permettersi di reclamare dei veri poliziotti. In questo mondo dominato dalle pulsioni, assurge a capo il più furbo, e tutti, o quasi, gli vanno dietro, lo riveriscono ossequiosamente, perché lui è il potere, che significa soldi e protezione. Le possibilità, nel mondo abbruttito del cinema malavitoso scorsesiano, sono due: con il boss o contro il boss. Per questo le “famiglie” hanno una compenetrazione talmente estesa, e vantano una compattezza che nel film di Scorsese si fa visivamente percepibile. Con famiglia intendendo naturalmente la nuova organizzazione rappresentata dal clan, e dalle sue rigide maglie di comportamento, quella che fa da sfondo e da tessuto connettore dello scenario di The Irishman.
Quei bravi ragazzi, d’altro canto, mostrava nella sua prima parte la disillusione del giovane Henry Hill nei riguardi del nucleo originario, perché il suo sogno fu sempre di entrare sotto la protezione di ben altra famiglia. Anche le sfuriate del padre non avevano un grande effetto sul giovane: “Le cinghiate toccano una volta o l’altra chiunque”, diceva infatti Henry, col tono arrogante di chi sa di non dover subire a lungo.
Il lato selvaggio e borghese del gangster
In Irishman ritroveremo Joe Pesci, che proprio con Scorsese offre – in Quei bravi ragazzi e Casinò – due interpretazioni di sconcertante resa espressiva. Nel personaggio che Pesci interpreta in Quei bravi ragazzi, si ritrovava il gangster di cui Edward G. Robinson, James Cagney e Paul Muni avevano fornito nei primi anni Trenta il modello cinematografico. Violento, impulsivo, smargiasso, offensivo con i sottoposti, prepotente e irascibile con le donne, spinto da una smania che non vede ostacoli nella forsennata corsa al possesso. Scorsese insiste più sul lato selvaggio e borghese del gangster. Quello che vale per tutti i membri del clan, vale naturalmente in via ufficiale e, si direbbe, anche come regola di vita, perché, ad esempio, nessuno accetta il divorzio di un compare dalla propria moglie (“non siamo mica animali” ribatte Paul Cicero a Henry che se la vuole filare con la procace amante Janice).
Nei film di Scorsese degli anni successivi, come L’età dell’innocenza e Casinò, si eleva con cristallina pienezza la tematica dell’incapsulamento e della solitudine in un ambiente crudele e falso, con una narrazione che si fa via via più serrata e tesa, culminando, in Quei bravi ragazzi, con le immagini frenetiche dell’isolamento del gangster Henry e della moglie Karen; il parossismo della tensione psicologica coincide con la sovrabbondanza di elementi cui occorre tenere conto: il telefono controllato dalla polizia e dal clan, le auto e gli elicotteri che seguono minacciosamente la corsa sempre più nervosa di Henry, il sugo della pasta da rimestare, rimestare, rimestare….
La scomparsa di Jimmy Hoffa
La velocità con cui le immagini scorrono, lo stile franto e ipercinetico di Scorsese per descrivere questa vita divorata dall’eccesso, istituiscono un vortice che ritroviamo nei film successivi. E in The Irishman Scorsese annuncia di lavorare dietro l’apparenza della scena sociale sindacale americana – dietro la coltre dell’ufficialità come in L’età dell’innocenza – per raccontare con il suo stile magmatico un mistero che ha ossessionato l’opinione pubblica statunitense per quasi trent’anni a partire dall’estate del 1975: la scomparsa di Jimmy Hoffa, protagonista leggendario del sindacalismo americano tra gli anni Cinquanta e Settanta, che nel film è interpretato da Al Pacino. Un caso rimasto irrisolto perché nessuno è stato mai condannato né il corpo del sindacalista è stato mai ritrovato.
Per il film, la celebre montatrice Thelma Schoonmaker garantisce che si tratterà di qualcosa di completamente diverso da Quei bravi ragazzi: gli interpreti attraverseranno tanti anni di storia e rivedremo De Niro e Al Pacino ringiovaniti. De Niro però sarà nuovamente un mafioso: interpreterà Frank Sheeran, costretto sulla seria a rotelle e ancora rincorso dall’FBI a cui decide di confessare la verità: è lui l’uccisore, con due colpi di pistola, di Hoffa. Tratto dal romanzo “L’irlandese” di Charles Brandt, The Irishman vede per la prima volta Al Pacino diretto da Scorsese ed è anche il nono film in cui De Niro lavora al fianco dell’amico Scorsese. La sceneggiatura è firmato da Steven Zaillian, premio Oscar nel 1994 per Schindler’s List.
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