Robin Williams aveva appena concluso la realizzazione di Piume di struzzo (The Birdcage, 1996) quando venne chiamato per Genio Ribelle (Good Will Hunting, 1997) il film che lo avrebbe portato a vincere il premio Oscar nella categoria miglior attore non protagonista. Williams, conosciuto dal grande pubblico per la sua comicità, era già da tempo l’interprete di mentori per giovani in cerca di un orientamento nella società prefigurata da individui cresciuti troppo in fretta. La sua comicità straripante si espresse di volta in volta in guizzi, ma cercò anche briglie che potessero contenerla nelle pose di un cinema hollywoodiano sovente ingessato dalla paura di osare. Ruoli divenuti iconici e tre nomination agli Oscar come Good Morning, Vietnam (id., 1987), L’attimo fuggente (Dead Poets Society, 1989) e La leggenda del re pescatore (The Fisher King, 1991) lo consacrarono come il volto della fiducia e dell’incoraggiamento oltre ogni maschera di convenzioni, il paladino dell’autenticità in una scena sociale di compromessi forzati.Una delle scene più famose de “L’Attimo Fuggente”
La vicenda artistica dell’attore è forsennata traiettoria di vette e cadute che si intrecciano con la sua vicenda privata, con il carattere e l’impegno di un mattatore capace di mettersi coraggiosamente nei panni degli altri e tentato da quella ricerca costante di empatia che i molti ruoli interpretati in oltre quarant’anni di scene testimoniano. Quando nel 1989 Williams si sposò in seconde nozze con Marsha Garces, che sarebbe diventata la sua assistente, l’attore avrebbe detto: “Lei mi insegna a dire ‘no’: la parola più provocatoria a Hollywood”. E innumerevoli volte l’attore si trovò costretto a selezionare, tra produzioni hollywoodiane e film indipendenti, ben sapendo che soltanto alcune situazioni portano al film che viene ricordato.Il copione di Genio Ribelle – Will Hunting non fu scelto a caso da Williams in alternativa a progetti con più smaccato appeal commerciale. Damon e Affleck, giovani attori e amici d’infanzia, avevano lavorato a lungo a una sceneggiatura con cui tentavano di dare una svolta alle loro vicende artistiche. Lo script racconta di un giovane bidello disadattato che dal South Boston lavora al MIT (Massachussets Institute of Technology), dove, di nascosto, risolve sulla lavagna del corridoio pubblico i complicati quesiti che il luminare di matematica, il professor Gerald Lambeau (Stellan Skarsgård), lascia agli studenti affinché si facciano avanti con i loro tentativi di soluzione. Il giovane disadattato, interpretato dal bravo Matt Damon, è un genio della matematica che il professor Lambeau, sconcertato e al contempo affascinato dal talento del ragazzo, affianca con il supporto dello psicologo interpretato da Williams, il dottor Sean McGuire in lutto per la morte della moglie.Williams individuò il film che gli permise di portare in scena aspetti della sua recitazione a tratti già affiorati, ad esempio, in Risvegli (Awakenings, 1990) di Penny Marshall, dove era il medico Malcolm Sayer che, in un ospedale del Bronx, scoprì gli effetti del nuovo farmaco L-DOPA sui pazienti affetti da catatonia. Elementi che in Genio ribelle gli avrebbero permesso di riprendere, in una direzione più psicologica, quel rapporto che il personaggio di Keating de L’attimo fuggente aveva avviato con i suoi studenti.Robin Williams e Matt Damon in “Genio Ribelle”
Questa volta Williams, attore conosciuto per l’effervescenza e la vitalità delle sue copiose interpretazioni, “rientrava tra le righe”, mostrando non semplicemente l’altra faccia del suo essere attore, ma una passione profonda nella vita, sottolineata dallo psicologo Sean quando si rivolge a Will e alle debolezze che contraddistinguono l’esistenza: “La gente le chiama imperfezioni… ma non lo sono…. no… sono la parte essenziale della vita”. Il progressivo avvicinamento tra il giovane insofferente (Will snobba diversi affermati professionisti prima di accettare il sostegno di Sean) e lo psicologo – a sua volta volta ribelle alle convenzioni- avviene perché Sean è il solo ad aver patito esperienze simili a quelle del giovane – la figura del padre alcolista e violento che caratterizza le rispettive infanzie – e perché Sean mette da parte molto presto la consueta distanza tra psicologo e paziente portando in scena elementi del suo vissuto, in questo provocato sin dal primo incontro da Will che cerca di scardinarne la pazienza urtandolo.Robin Williams e Jefd Bridges ne “La Leggenda del Re Pescatore”, di Terry Gilliam
Ed è un attacco all’armonia, interiore ed estetica, quella che Van Sant realizza con i suoi attori, modulata su quel quadro della moglie morta che per Sean ha un significato umano e che Will commenta in modo impietoso vedendolo appeso nello studio dello psicologo tra i tanti dettagli sparsi che per Will sono propriamente ancora solo frammenti atomizzati, incapace com’è ancora il ragazzo di una visione complessiva e matura della sua come della vita altrui. Will, d’altro canto, ha nella matematica il campo solitario in cui si destreggia meglio, ma esibisce ugualmente una cultura enciclopedica, che spazia dall’economia alla storia dell’arte, con la quale aiuta gli amici ma evidentemente non se stesso, perché il suo carattere irascibile e il suo totale disinteresse per il successo lo hanno portato a confrontarsi spesso con la legge (viene arrestato più volte) che naturalmente conosce piuttosto bene. La sua intelligenza cognitiva incontra l’interessamento del professor Lambeau il quale, colpito dalle sue doti straordinarie, non vuole lasciarsi fuggire l’occasione di coltivarne il talento, sebbene covi nei suoi riguardi aspettative che ridestano in lui un antico senso di insoddisfazione. Will accetta di “fare la matematica” ma davanti alla richiesta di Lambeu di accogliere anche l’aiuto di uno psicologo la sua riluttanza è palese. Non perde occasione per ridicolizzare i colleghi psicologi al cui cospetto Lambeau porta il giovane, e solo Sean McGuire, psicologo uscito dal grande giro degli accademici di cui detesta il conformismo e la competitività, otterrà la sua fiducia.
Che Genio ribelle sia un racconto sulla fiducia è annunciato sin da subito da Williams davanti agli studenti nella prima sequenza in cui vediamo l’attore. Will interrompe bruscamente il rapporto con la giovane Skylar (Minnie Driver) una ragazza abbiente che frequenta l’università e si innamora di lui, ma le cose cambieranno quando il confronto del ragazzo con McGuire gli restituirà quel calore umano di cui Will ha sempre avuto bisogno, così da lasciar emergere il trauma rimosso, liberando le emozioni trattenute e dando voce al dolore. La rigidità lascerà il posto al sentire liberato, la rinuncia alle ambizioni altrui (quelle del professor Lambeau, sorta di Salieri che aveva previsto per lui una brillante carriera), provando a indirizzare l’auto – costruitagli dai fraterni amici proletari con pezzi di ricambio che risuonano come amorevoli frammenti di vita vissuta – finalmente verso Skylar, nel frattempo trasferitasi a Los Angeles.Williams interpreta “Patch Adams”
Genio ribelle incentra il suo sviluppo sulla relazione medico-paziente, anche se non con lo stesso rigore di altri film sul tema, in questo perché, pur trovandoci in un film diretto da Gus Van Sant, non si rinuncia a quel compromesso richiesto dallo spirito romanzesco che Hollywood ricerca. Ma in questa vicenda di identità in cui un giovane genio deprivato di intelligenza emotiva trova addirittura due padri vicari (Lambeau e McGuire, l’ambizioso e l’idealista), a Robin Williams è affidato, fuor di metafora, il compito di mostrare come si può cambiare canale di comunicazione e affrontare il cambiamento sin dal luogo in cui può avvenire un dialogo: Will, tutto testa e ragionamenti che inchiodano l’interlocutore, viene portato da Sean in un ambiente naturale, per staccare la corteccia razionale e risvegliare le sensazioni.Un primo piano di Williams in “Genio Ribelle”
Sean: “Non c’è niente che possa imparare da te che non possa leggere in qualche libro… a meno che tu mi parli di te stesso, allora mi affascina, ci sto… ma tu sei terrorizzato all’idea, non è vero?”. E l’inquadratura, un primo piano sul volto monologante di Williams senza che ci venga mostrato il controcampo di Damon, lentamente si sposta, mostrando, in parte, il volto del ragazzo, che ora sentiamo sfocato, come lo era l’immagine del personaggio di Mel in Harry a pezzi. L’insicurezza del ragazzo si rende allora manifesta, e appare davanti a un prato e un fiume, al cui cospetto Sean inizia a risvegliare il mondo interiore di Will, quello delle emozioni (la perdita di un amico), delle sensazioni (quale odore nella Cappella Sistina?), del sentimento (la passione per una donna). E così ci si può anche permettere di cambiare.
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