Le parole di un Re al suo erede ove non vi è possesso, ma responsabilità, ove il potere non è egoismo ma l’equilibrio del rispetto dalla piccola formica all’antilope.
Il Re Leone è tornato con la firma di Jon Fraveau, e sarà al cinema dal 21 Agosto. Per la versione italiana, la voce di Simba è di Marco Mengoni, mentre quella di Nala è di Elisa. Entrambi in conferenza stampa hanno affermato che è stata un’esperienza importante anche per ciò che avevano provato molti anni fa durante la visione del cartone animato. Un ottimo lavoro di doppiaggio che rende la storia ancora più intensa, grazie anche ad uno straordinario Massimo Popolizio per la voce di Scar, Edoardo Leo per Timon e Stefano Fresi per Pumbaa.
La musica di Hans Zimmer e i successi di Elton John, presenti già nel 1994, accompagnano le scene caricandole ora di pathos ed emotività ora di allegria.
Ma non aspettatevi un remake del classico di Walt Disney di 25 anni fa. Nemmeno un live action. Il Re Leone del 2019 è l’innovazione dell’industria cinematografica: una ricostruzione shot-to-shot con l’evoluzione di immagini fotorealistiche generate dal computer. Le ambientazioni sono state progettate all’interno di un motore grafico con tecnologie all’avanguardia applicate alla realtà virtuale. Per riprodurre le emozioni umane da congiungere ai personaggi, Favreau ha diretto gli attori per catturare la loro interpretazioni impiegando la tecnica del black box theater: invece di far entrare gli attori in una sala di registrazione per incidere le loro battute, con gli occhiali da lettura e il copione alla mano, ha deciso di costruire un teatro attorno a loro. In questo modo potevano interagire l’uno con l’altro e esprimere le proprie emozioni. Durante la fase di animazione, poi, gli animatori hanno potuto basarsi su queste emozioni umane estremamente autentiche.
La resa cinematografica è di altissima qualità e colpisce lo spettatore per la potenza dell’attento studio.
Ma se Il Re Leone è un prodotto innovativo dalla raffinata e ineguagliabile manifattura, non è però possibile ritrovare in esso l’incanto proprio del film di animazione tradizionale dal tratto del “cartone”. Ovvero, quella magia che appartiene alle ambientazioni e ai movimenti coreografici dei personaggi che destano meraviglia e stupore per l’idea, la metafora, la trasposizione dal mondo umano a quello animale. Non possiamo non pensare alle coreografie degli animali in un accostamento cromatico e geometrico nella colonna danzante per il desiderio del piccolo Simba di “Voglio essere presto un re”, contrapposta al “Sarò re” di Scar che brama il potere accompagnato dalla marcia delle iene che, tra il gas verde, richiama alla dittatura.
Se dalla magia dell’animazione tradizionale, l’innovazione è il realismo si corre, forse, il rischio di spegnere il sogno proprio dell’anima di ciò che è un cartone animato. E se i grandi padri del passato ci guardano dalle stelle, non resta che sperare nel cerchio della vita, ove ogni cosa che nasce non dimentica ciò che lo ha generato, seppur cantando a volte “Hakuna Matata”.
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