“Nella mia vita ho fatto tutto, tutto tranne due cose: il ballerino d’opera e il fantino d’ippica”, aveva detto in una delle sue ultime interviste il compianto Bud Spencer, al secolo Carlo Pedersoli, scomparso nel giugno del 2016. E in effetti Bud Spencer, che oggi 31 ottobre avrebbe compiuto novant’anni, di cose nella sua lunga vita ne ha fatte tante.
Oltre ad essere uno dei volti più amati del cinema italiano insieme all’amico Terence Hill (vero nome Mario Girotti), innanzitutto è stato un grande atleta. Dieci volte campione italiano di nuoto, record mondiale come primo italiano ad essere riuscito a stare sotto il minuto nei cento metri stile libero, due olimpiadi, ha giocato anche nella nazionale italiana di pallanuoto. La grande passione per il nuoto era nata già da bambino, quando con la famiglia andava a fare i bagni a Seiano, non lontano da Napoli. Ma Bud Spencer si è distinto anche in altri sport: rugby, lotta greco-romana, pugile dilettante con dieci incontri vinti al suo attivo, pilota automobilistico e anche pilota di aeroplani. I numerosi traguardi sportivi hanno avuto un ruolo fondamentale nella sua vita, perché era convinto che il successo artistico derivasse unicamente dalla risposta più o meno favorevole del pubblico, mentre ogni risultato conseguito nello sport era da considerarsi un merito tutto personale. Questa profonda filosofia dello sport ha avuto una bella autocitazione nel film di Michele Lupo Lo chiamavano Bulldozer (1978), dove il suo personaggio di ex giocatore di football americano dice per motivare la scelta del suo ritiro: “Io credo nella lealtà dello sport e non mi piacciono gli imbrogli”.
Sportivo, ma anche provetto cantante e autore di canzoni, di cui alcune scritte per Ornella Vanoni e Nico Fidenco. Bud Spencer parlava almeno quattro lingue straniere, inglese – tedesco – spagnolo – portoghese, ha pubblicato tre libri e si è improvvisato anche imprenditore.
Un personaggio poliedrico, dunque, ma la sua fama è legata principalmente alla carriera di attore, con una filmografia che conta la bellezza di 128 titoli. Nato a Napoli il 31 ottobre del 1929, era cresciuto nello stesso palazzo dove abitava anche Luciano De Crescenzo, nel quartiere di Santa Lucia, e i due furono compagni di scuola alle elementari. Con la famiglia dovette lasciare Napoli per trasferirsi prima a Roma e poi in Sud America, per la precisione in Brasile e in Argentina. Con il rientro in Italia, alla fine degli anni Quaranta, ebbe inizio la sua carriera sportiva. Ma già nel 1950 si fece notare nell’ambiente del cinema per il suo fisico imponente ed esordì nel film Quel fantasma di mio marito di Camillo Mastrocinque, guarda caso nel ruolo di un nuotatore che salva una bagnante. Seguirono piccole parti in altri film (Qua Vadis di Mervyn LeRoy, 1951, Un eroe dei nostri tempi di Mario Monicelli, 1955, Il cocco di mamma di Mauro Morassi, 1958), sempre come Carlo Pedersoli. Perché il mito Bud Spencer non era ancora nato e oltretutto, nonostante fosse fidanzato con la figlia del produttore Giuseppe Amato (divenuta sua moglie nel 1960), il cinema sembrava non interessarlo seriamente. Nel 1967, però, giunse quell’incontro casuale che gli cambiò la vita. Contattato dal regista Giuseppe Colizzi che, in virtù della sua mole di 150 chili, lo voleva per il film Dio perdona… io no!, accadde che l’altro interprete maschile, Pietro Martellanza (in arte Peter Martell), si ruppe un piede alla vigilia dell’inizio delle riprese e fu sostituito da un certo Mario Girotti. Il bell’attore di origini veneziane, di dieci anni più giovane, aveva esordito giovanissimo nel film di Dino Risi Vacanze col gangster (1951) e aveva recitato già in una quarantina di pellicole compreso Il Gattopardo di Luchino Visconti (1963). Per rendere il cast più appetibile anche a livello internazionale, si pensò a due nomi d’arte anglicizzati: nasceva la coppia Bud Spencer e Terence Hill, la cui consacrazione definitiva è avvenuta con i film di Enzo Barboni Lo chiamavano Trinità… (1970) e …continuavano a chiamarlo Trinità (1971). Nella sua fase calante, lo spaghetti western optava per la comicità, con grave disappunto della critica ma con un’accoglienza straordinaria da parte del pubblico di tutto il mondo. Fu un’intuizione felicissima, merito di una dicotomia che replicava (variandole) le differenze fisiche tipiche di altre coppie comiche e merito di una gestualità meccanica, semplice ma efficace, mutuata dalle slapstick comedies americane del muto.
Nonostante Bud Spencer sia stato anche diretto da registi del calibro di Dario Argento, Carlo Lizzani, Giuliano Montaldo, Ermanno Olmi e sia stato protagonista singolarmente di tanti altri film di successo, come il ciclo del commissario di polizia Rizzo detto “Piedone” (Piedone lo sbirro, 1973, Piedone a Hong Kong, 1975, Piedone l’africano, 1978, Piedone d’Egitto, 1980, tutti con la regia di Steno), il suo nome è legato soprattutto al fortunato sodalizio con Terence Hill, con il quale girò sedici film mantenendo sempre un ottimo rapporto anche fuori dal set, senza mai litigare. “Lui è un attore, io sono un personaggio”, teneva a dire dell’amico. Una comicità, la loro, che non era certo raffinata, ma aveva il pregio di non scadere mai nel volgare. Nel 2010 ritirarono insieme il David di Donatello alla carriera e in quell’occasione Ermanno Olmi, in una lettera indirizzata ai due attori, volle scusarsi con loro per aver contribuito in passato alla presuntuosa distinzione tra un cinema di qualità e un cinema di consumo e disse di aver capito in ritardo che a salvare il mondo non sarà solo la cultura, ma anche la gioia, il sano divertimento, una bella risata come quelle procurate dai loro film.
A Budapest è stato eretto un monumento dedicato a Bud Spencer, a dimostrazione della sua immensa popolarità anche al di fuori dei confini nazionali. I critici snobbavano la coppia, così come avevano snobbato Totò o Franchi e Ingrassia, ed entrambe gli attori ne hanno sempre dovuto prendere atto con amarezza. Ma il buon Bud aveva una sua filosofia di vita: quella del “futtetenne”, fregatene!
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