Roberto Lasagna sceglie per il fine settimana al cinema tre titoli di sicuro interesse. Il primo, Criminali come noi, del regista Sebastián Borensztein, commedia proletaria nell’argentina sull’orlo di una crisi economica e sociale. Cattive acque, storia vera che esamina la natura corrosiva delle istituzioni, diretto da Christina Choe, e L’hotel degli amori smarriti, una commedia brillante ricca di colpi di scena che sa essere anche una riflessione sul divenire.
Criminali come noi
Regia: Sebastián Borensztein. Interpreti: Ricardo Darín, Luis Brandoni, Carlos Belloso. Origine: Argentina, Spagna. Anno: 2019. Durata: 116’.
Le vittime di una (doppia) truffa decidono di passare alla vendetta. Cittadini coinvolti nella creazione di una cooperativa, dapprima minata dallo Stato poi da un losco avvocato che si è portato via i loro soldi, sono i protagonisti di un sogno che sembra diventare realtà grazie all’impegno di Fermìn Perlassi (Ricardo Darìn) il quale, con la moglie Lidia e il vecchio amico Fontana, rileva uno stabilimento agricolo raccogliendo il contributo dei molti cittadini nel paese in spopolamento e ottenendo un prestito da una banca. Siamo nell’Argentina del 2001 e il direttore dell’istituto di credito invita Fermìn a depositare i contanti così da poter dimostrare di essere un debitore affidabile. Ma quella stessa notte l’economia argentina e il sistema bancario collassano. D’ora in avanti sarà possibile prelevare soltanto 250 pesos a settimana. Contro il governo che congela i conti correnti si può ben poco ma a un certo punto Fermìn fa la scoperta che non ci voleva: è stato Fortunato Manzi, noto avvocato, ad averli truffati, essendosi fatto consegnare il giorno prima del collasso finanziario una cifra astronomica dal direttore di banca. Vincitore del Goya come Miglior Film Iberoamericano, Criminali come noi è una commedia mobilitante capitanata dal carisma umanissimo di Ricardo Darìn che restituire voce e febbre di sgomento al popolo truffato in una formula in cui avvince la preparazione del colpo e la comicità che attorno al protagonista dispone di comprimari pronti a incarnare le opposte ideologie e a dare un tono ruspante alla tipizzazione dei caratteri popolari (Luis Brandoni nei panni dell’anarchico seguace di Bakunin, grande amico ricambiato del nostalgico peronista interpretato da Daniel Aráoz). A produrre il film, che si colloca con originalità nel solco degli heist movie (Ocean’s Eleven e dintorni), troviamo Chino Darìn, figlio del popolare Ricardo – interprete del bellissimo Il segreto dei tuoi occhi -, a fianco del padre in un film che rinnova la tensione ribelle comune in questo cinema e ben sintetizzato in Storie pazzesche (2014, regia di Damián Szifrón e co-produzione di Agustín Almodóvar e Pedro Almodóvar), affresco di episodi dai colori surreali in cui l’individuo è calato nella realtà della crisi sociale e passa alla rivolta nei modi più imprevedibili.
La vendetta di un gruppo di cittadini dall’Argentina del collasso economico
Cattive acque
Regia: Todd Haynes. Interpreti: Mark Ruffalo, Anne Hathaway, William Jackson Harper, Bill Pullman, Tim Robbins. Origine: Usa, 2019. Durata: 126’.
Salutiamo il ritorno di Todd Haynes, regista e sceneggiatore indie americano che in una carriera modernissima e imprevedibile ha raccontato la sessualità in grado di rompere le convenzioni sociali, le ferite della repressione in vicende di individui che tentano di contrastare le strutture del potere sulle loro vite ordinarie; Haynes il cantore di artisti e musicisti in ritratti anti-convenzionali (la Karen Carpenter di Superstar, il David Bowie di Velvet Goldmine e il Bob Dylan di Io non sono qui), l’osservatore sensibile di donne come la protagonista di Lontano dal paradiso (Julianne Moore, musa del regista) in grado di canalizzare ansie e raffigurare il terrore, soggiogate dalla cellula della famiglia che le vuole ad immagine di fecondità e perfette per il matrimonio e la prole. In Cattive acque, nella storia d’impegno civile rinvigorita dall’avvocato Rob Bilott interpretato con energica passione dall’attivista Mark Ruffalo, si dipana una vicenda di moralità che indaga la natura compromessa delle istituzioni, il coinvolgimento di un civilista di Cincinnati che da sostenitore dell’industria chimica si troverà ad accusarne le malefatte corrosive in una causa ventennale. L’avvio è in pieno stile Haynes, con la raffigurazione della tranquilla vita familiare che Rob, divenuto da poco socio nel suo studio legale sul finire degli anni Novanta, si gode assieme alla moglie Sarah e al figlioletto appena nato. Poi, la visita nel suo studio di un vecchio conoscente di sua nonna, il contadino della Virginia Wilbur Tennant, lo mette in allarme sullo stato dell’acqua del lago in cui si abbeverano gli animali della sua fattoria che hanno preso a comportarsi in modo strano: acqua che è poi la stessa in cui il colosso della chimica Dupont scarica da decenni rifiuti tossici. Hayns immerge il suo elegante torpore nelle pagine di quel cinema d’impegno civile, elegantemente asciutto e investigante, in grado di riproporre la sobrietà di un cinema americano che in passato ha svettato nelle condotte di rettitudine dei protagonisti di titoli come Tutti gli uomini del presidente: Cattive acque si muove in quella tradizione, rammentando come il genere continua negli anni a portare in luce qualche film significativo, come Insider di Michael Mann, Spotlight di Tom McCarthy o The Post di Steven Spielberg. Il lato oscuro del sistema, che ad un certo punto dell’intrigo l’individuo protagonista scopre minacciosamente sulla sua pelle, è il culmine sinistro dell’ordito di una trama in cui tutti siamo calati, manipolatori e opportunistici finché ci conviene. Todd Haynes accetta le cadenze del dramma legale e familiare che segue con elegante precisione e ne coglie le tinte bluastre ed ordinate, sin dalle ricorrenti finestre dei palazzi di Cincinnati sede degli uffici della Taft Law. Ma Haynes non perde il confronto più penetrante con la realtà cogliendo il disturbante sintomo di repressione in alcune punte di lancinante torbidità, come nell’avvio che riporta a quel gruppo di ragazzi pronti al bagno di mezzanotte negli anni Settanta, e che da quell’acqua che li vede vittime – e inconsapevoli complici – si coglie l’incipit di un disturbo inavvertito impresso dall’ambiente sul singolo. Un virus silente che si allarga alle famiglie, ed ha riflessi nei comportamenti, nelle abitudini e convenzioni, nelle istituzioni che permettono l’edificazione della spettrale Dupont, che ha consolidato un impero economico sull’utilizzo del Teflon celando al mondo i rischi per la salute. Un oggetto domestico apparentemente innocuo come la padella anti-aderente è allora il simbolo di un capitalismo che nasconde gli effetti nocivi sulla salute delle famiglie che anche attraverso questi simboli si vorrebbero tenere unite (e soggiogate). Dietro il rigore morale dell’inchiesta, inquietudini da cinema horror.
La regia attenta nell’inchiesta di un cineasta indie modernissimo
L’hotel degli amori smarriti
Regia: Christophe Honoré. Interpreti: Chiara Mastroianni, Vincent Lacoste, Camille Cottin, Benjamin Biolay, Stéphane Roger. Origine: Francia, 2019. Durata: 86’.
Sposati da vent’anni, una sera lui scopre che lei ha un amante. Uno studente universitario con cui Maria si svaga durante le sue giornate, e non è la prima volta che accade, perché ci sono stati altri Asdrubal nella vita della donna durante il periodo matrimoniale. Ma il marito, che si chiama Richard, resta sconvolto, a nulla valendo le motivazioni che Maria adduce. Lei decide di lasciare il loro appartamento senza andare troppo lontano, si installa nella stanza 212 dell’hotel di fronte casa. Da quella distanza, Maria potrà avere il tempo per una riflessione sul suo matrimonio, e appena si porterà lontano da Richard – che non riesce a placarsi e a dormire per il tormento del tradimento della moglie – lo ritroverà, com’era decenni prima quando se ne era innamorata. S’intrecciano, nelle dimensioni del tempo ritrovato, volti e corpi di persone che hanno vissuto momenti con loro, percorsi e destini, pulsioni e desideri come quelli agitati dalla prima fiamma di Richard sino dalla precocissima fase puberale. Sul volto di Maria scorrono le visioni dei ricordi in una commedia attraversata dalla bravura di Chiara Mastroianni premiata a Cannes 2019 quale migliore attrice nella sezione “Un certain regard”. Un ruolo che l’interprete rende generosamente vibrante in una riflessione sul tempo e il divenire agitato dai colpi di scena di una commedia dove i momenti divertenti abbondano e si avviluppano attorno all’idea che la nostra vita sia talmente intessuta delle relazioni avute da apparire come un autoinganno il proposito poter di lasciare dietro di sé il passato con un’alzata di spalle. Però a Maria spetta di potercela fare, perché lei, a differenza di altri, potrà dire di avere vissuto. Honoré restituisce il divertimento di una commedia che rende percepibili in maniera fisica i ricordi, dove ciascuno è oggi ciò che ha vissuto e con le persone che lo hanno attraversato. Nella personificazione di Chiara Mastroianni (attrice prediletta del regista francese), Maria è colei che con la sua intensità riempie di significato le camere vuote, colmandole di personaggi e sensazioni del passato, che arrivano al suo pensiero mentre prende forma un film come racconto di un momento di riflessione nella sua esistenza, dove i sentimenti per l’uomo che da sempre condivide la sua quotidianità convivono con un’insoddisfazione intima. Il luogo scelto per questa “giusta distanza”, un albergo in cui rivivono ricordi ed eccitanti promesse agognate e vissute, diviene presto apertura surreale sul disincanto di Maria, così lontana dal senso di fedeltà di Richard eppure autrice di una prospettiva dell’esistenza da cui rivedere, prendendosi una pausa, la fisionomia dell’amore nel rispetto della propria filosofia del vivere. L’amore che ci cambia e ci fa crescere, lasciandoci sempre un po’ diversi e plasmandoci come non avremmo creduto possibile. Honoré segue le tappe di un cammino amoroso dove il passato e il presente si parlano. Tra un’idea d’amore che possa durare e le singole individualità che necessitano di poter esprimersi, il racconto sovrappone le linee temporali ed esplora, in una sola notte, i clamori emotivi bizzarri in cui passato e presente, vecchie fiamme e nuove possibilità oramai sfumate stabiliscono la condizione del vivere comunque in divenire.
Chiara Mastroianni è Maria, ruolo che le è valso il premio per la migliore attrice a Cannes 2019 (sezione “Un certain regard)
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