Non è un caso se in Habemus Papam (2011) ritorni la figura dello psichiatra: d’altronde, uno psicanalista era presente ne La stanza del figlio (2001), mentre lo stesso Freud, padre della psicanalisi, appariva tra le immagini di Sogni d’oro (1981). Questa volta però Nanni Moretti, nella Roma spaurita del suo film del 2011, sceglie una figura terapeutica per il compito di curare lo smarrimento del neoeletto pontefice interpretato da Michel Piccoli, offrendo dell’uomo di scienza da lui stesso interpretato, interpellato dal conclave allertato dalla crisi di panico del suo inedito condottiero, un’immagine che ricuce insieme tratti tipici, vezzi e manie di quel “morettismo” che fa capolino come in un territorio di ossessioni affiancate dal discorso metaforico.

Habemus Papam
Nella sua opera laica, proprio come lo era La messa è finita del 1985 (unico precedente di Moretti con tematiche religiose), il regista di Brunico, seguendo la sua più alta ambizione estetica, è forse un po’ in imbarazzo, trovandosi a cercare una sintesi di commedia e tragedia per rendere lo stallo di un universo che possiede storicamente lo scettro per indicare la rotta della fede e condizionare la morale. Come dinanzi ai partiti politici che hanno segnato lo smarrimento di Michele Apicella e di Nanni Moretti in carne ed ossa, Moretti trasporta questa volta il suo sguardo dentro la Chiesa, descritta come la forza più radicata e stabile, la cui immagine mediatica ne asseconda abitualmente l’impronta monolitica. Il potere religioso sembra una costruzione, e la sequenza della votazione, in cui i religiosi pregano Dio affinché li scansi ad uno ad uno dal mandato papale, ha un tono di grande rispetto e al contempo coglie la “malattia” di un’istituzione, flaccida e destinata alla necrosi, con uno sguardo che è morale prima che politico. Michel Piccoli nei panni del papa neoeletto è superbo nel manifestare, dopo un attacco di panico, sintomi di tipo depressivo che segnano di note afasiche il racconto.

Habemus Papam
Il favoloso attore rappresenta con molta finezza il suo disagio, lo spaesamento e le conseguenze invalidanti dell’angoscia. Moretti offre quindi una versione caricaturale dello psichiatra, il cui atteggiamento e la cui metodologia appaiono a dir poco arroganti, ma questa figura, oltre a permettere alcuni momenti di rispettosa comicità, ribadisce come l’aspettativa curativa più acclamata sia quella di affrontare il disagio del neo-pontefice con una psicoterapia tutta sesso e complesso edipico. In un sol momento, Moretti mette allora alla berlina una formula classica della psicoterapia freudiana, confermando anche l’immagine di una Chiesa ancorata al passato e impermeabile al cambiamento. Un’altra psicoterapeuta, interpretata da Margherita Buy, parla invece di “deficit di accudimento” per il cardinale, dando ingresso ironico ad una seconda linea psicoterapeutica che costruì una teoria dell’osservazione del bambino e del rapporto madre e neonato. Se gli psichiatri e psicoterapeuti escono, in definitiva, fortemente frustrati dalla visione di Habemus Papam, l’accento polemico del cineasta Moretti non sembra però essere rivolto tanto ad una professione che evidentemente gli sta a cuore (l’equivalenza tra il prete e lo psicanalista, uomini che ascoltano la vita intima e cercano di trovare un senso all’esistenza, è una suggestione che rientra tra le declinazioni del mondo morettiano).

Habemus Papam
Nel film stratificato, a Moretti interessa mostrare soprattutto la fragilità come esito di uno smarrimento del senso in questo particolare momento storico, soffermandosi sulle pretese di un potere vacuo. Come quello della Chiesa che si tramanda perorando il conflitto tra le scelte dello Spirito e le debolezze della carne. O il potere di una certa psichiatrica che esercita la scienza della cura tenendosi lontano dei presupposti dell’empatia senza i quali non può dirsi davvero curativa. O il “potere” di formule cinematografiche che allo stesso Moretti, cineasta dedito a riflettere sui cambiamenti, stanno evidentemente strette, dalle quali cerca anzi di divincolarsi, con un film ampiamente riflessivo. Se il potere, la cura, la politica possono assumere forme illusorie, il suo film vive pertanto delle ansie, delle difese e delle esitazioni che un intellettuale avverte dinanzi al periodo storico e alla condizione raffigurata, dove chi dovrebbe tracciare la rotta non ha nemmeno il fiato in gola.

La Messa è Finita (1985)
E alla fine il personaggio del suo film trova la strada terapeutica – senza la pretesa di sbandierarla a tutti, ma opportuna e coerente con il racconto – offertagli dall’incontro con un attore impegnato ne Il gabbiano di Cechov; in una compagnia teatrale che appare al cardinale mentre questi vaga senza punti di riferimento in una Roma non prevedibile, lo smemorato ritrova un momento di comunicazione con un attore angosciato, e con essa una serenità che il teatro incarna nella funzione finalmente curativa di arte-terapia. Habemus Papas, film del disorientamento ben accolto dalla critica, è un’opera sintomo del bisogno di trovare una propria strada, esistenziale ed espressiva, al cospetto di istituzioni incapaci di mettersi in gioco (il torneo di cui i cardinali non comprendono la logica) e di prendersi responsabilità storiche. Per Moretti anche una riflessione sul cinismo, su cosa significhi tentare di scrollarselo di dosso a costo di rischiare il silenzio e il vuoto di ruoli, nella necessità di una riflessione umanissima, dolente dietro il sorriso del cineasta. La sequenza finale in cui Michel Piccoli confessa davanti al popolo dei fedeli di non poter essere colui che conduce, oltre ad essere il momento alto di un attore grande, è anche il punto in cui Moretti consegna al dolore dello smarrimento la nota più profonda del suo film.
Paese: Italia
Durata: 104 min
Distribuzione: 01 Distribution
Sceneggiatura: Nanni Moretti, Francesco Piccolo, Federica Pontremoli
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