Al Pacino celebra ottanta candeline il 25 aprile 2020 e noi vogliamo ricordarlo in uno dei suoi ruoli più significativi, quello del poliziotto Frank Serpico nel film diretto da Sidney Lumet nel 1973 e prodotto da Dino De Laurentiis. La collaborazione con l’autore de La parola ai Giurati (’57) è una tappa decisiva nella vicenda artistica di Pacino. Fino a questo momento l’attore ha prestato il volto ai personaggi dei film di Schatzberg (Panico a Needle Park, Lo spaventapasseri) e Coppola (Il padrino), ha cioè mostrato aspetti divergenti, in particolar modo, la sensibilità disarmante e il freddo autocontrollo. Con Sidney Lumet, regista del conflitto nutrico di realismo e tradizioni teatrali, l’attore assume in una sola maschera le attitudini espressive che lo hanno fatto conoscere, e il ritratto di Frank Serpico, poliziotto newyorkese ostracizzato dai colleghi, regala una recitazione vigorosa dove Pacino è un eroe reietto, italo-americano onesto calato in una scena sociale disposta a scendere a patti con il crimine.

Quel pomeriggio di un giorno da cani
Pacino tornerà a lavorare con Lumet per il successivo Quel Pomeriggio di un giorno da cani (1975), che potrà esibire un più riuscito equilibrio narrativo. Ma a Serpico (1973) va il merito di aver rappresentato un poliziotto italo-americano che non si adatta alle consuetudini corrotte del suo dipartimento, rimanendo un momento cruciale nella rivendicazione della dignità dei valori degli italoamericani attraverso il grande schermo. E’ singolare che Pacino scelga di interpretare Frank Serpico proprio tra i due episodi della saga de Il padrino. In quegli anni l’attore diviene un simbolo dell’italo-americano il cui ruolo sociale appare determinante nella decisione di conflitti e situazioni di rilevanza collettiva. Se Il Padrino (’72 e ’74) affronta la compromissione con il potere di Michael Corleone, Serpico offre però del personaggio solo alcuni tratti che possono essere considerati tipicamente italiani, come la passionalità, l’amore per la musica di Puccini, un certo individualismo; egli è soprattutto un anticonformista: ama leggere, vestirsi in modo eccentrico, prendere lezioni di danza. Sono invece i suoi colleghi di lavoro a trattarlo come vuole la convenzione, ritenendolo un gay per le sue abitudini.

Serpico
Il film di Lumet si ispira alla storia vera del poliziotto Frank Serpico, così come è stata raccontata al giornalista americano Peter Mass. All’epoca dell’uscita nelle sale, Frank Serpico si era già ritirato a vivere in Svizzera. L’onestà e l’intransigenza del personaggio, sempre meno tollerato dal corpo di polizia che gli affiderà incarichi via via più marginali, sono un segno che contrasta con l’immagine dell’italo-americano proposta dal cinema fino a quel momento (e Il padrino non fa eccezione). L’inizio del film mostra l’ambiente originario di Frank senza che venga ancora intaccata un’immagine consueta: padre calzolaio, madre casalinga, un fidanzamento interrotto con la cucina, i pranzi domenicali come un rito di famiglia. E anche la sua vita di single, al Greenwich Village, conserva tratti di marcata italianità. Diversamente da altri italo-americani dello schermo però, Serpico è tenace e intraprendente, avvinto da un senso di giustizia che riflette nei propositi di buon cittadino. La connivenza tra criminalità e giustizia è per Frank sintomo di un mondo diviso tra chi si batte per rimanere se stesso e difendere la possibilità di migliorarsi e chi invece vuole cancellare il diritto di persone come Serpico, disposte a lavorare e a rischiare per esigere quanto gli spetti e non solo quello che altri sono disposti a regalargli. Serpico diviene un simbolo proprio grazie all’istintiva passionalità che Pacino trasmette al personaggio: è individualista, stakanovista, misantropo e cocciuto, ma anche onesto e dotato di un temperamento che lo mette in contatto con i pochi colleghi “puliti”, nonché romantico con le donne. A partire da Serpico, Al Pacino diviene anche il tramite di una recitazione etichettata sovente come “istintiva”. Etichetta che per l’attore non sarà sempre facile scrollarsi di dosso, soprattutto durante gli anni Settanta. Di sicuro la sua italianità, per un professionista che prepara minuziosamente ogni ruolo, ha avuto una parte non secondaria in un atteggiamento della critica rivolto a ridimensionare la credibilità di alcune prove.

Revolution
E’ il caso, ad esempio, del flop di Revolution (1985), che qualcuno ha voluto attribuire, tra le altre motivazioni, proprio all’aspetto “etnico” di Pacino. E quando, dopo i difficili anni Ottanta, l’attore ritornerà al successo con una serie di pellicole molto apprezzate, saranno allora le sue interpretazioni teatrali dall’opera di William Shakespeare ad essere liquidate come “stravaganti”, mentre il carisma dell’attore sarà visto con un certo sospetto quando addirittura non adatto alla scrittura di Shakespeare. Il tempo farà giustizia, tanto che sarà proprio la preparazione di Pacino, percepito sempre di più come un attore “colto”, a riportarlo in auge negli anni Novanta. Con Serpico, Al Pacino è ancora l’outsider del Greenwich Village il quale, al pari del suo personaggio, deve costruirsi da solo una strada che non si prospetta come facile e prevedibile. Se sul lavoro appare duro e tenace, mentre nella vita privata è tenero e disponibile, nemmeno Frank Serpico raffigura una completa scissione tra vita pubblica e vita privata. E’ vero che il poliziotto cerca di non portare mai il lavoro a casa come potrebbero fare altri prototipi newyorkesi, ma è soprattutto vero che la conflittualità vissuta sulle strade infuocate di New York ha il correlato di tensione e nevrosi nella calma apparente delle pareti domestiche. Quando con la sua compagna va ad una festa di artisti, si sorprende nel ritrovare un mondo di persone insoddisfatte e le chiede come mai “tutti nella loro vita fanno una cosa, mentre dicono che vorrebbero farne un’altra”.

Serpico
Franck allude cioè alla situazione per la quale i convenuti alla festa, impiegati o professionisti, sentono come soffocante il loro lavoro e la loro vita, sognando di dedicarsi alla recitazione, alla pittura o al canto. E’ contro questa malattia endemica che il personaggio cerca di lottare: Franck avverte come insopportabile il carattere di doppiezza degli individui, siano questi l’ispettore capo Lombardo, uno dei pochi disposti a simpatizzare con lui, oppure i compagni di pattuglia traditori Don Ribello e Pasquale. La furia di Serpico è riprodotta con realismo anche se nel film i conflitti paiono talvolta un po’ schematizzati. Alla regia di Lumet va però il merito di lasciare da parte i toni dell’apologia e di sospendere il racconto lasciando aperti gli interrogativi sul futuro dell’ambiente dopo Frank Serpico. La vicenda stessa del vero poliziotto, decorato dopo la scampata morte e paladino di un inchiesta contro la corruzione della polizia che però non produsse i risultati sperati, è un caso esemplare del conflitto tra l’individuo e le istituzioni; una vicenda che, a ben guardare, trova in Al Pacino l’interprete umano che fino all’ultimo non accetta di piegarsi.
Lascia un commento