Si può dire che Io la conoscevo bene, sia stato l’ultimo vero film portato a termine dal regista romano Antonio Pietrangeli, scomparso prematuramente nel 1968, senza contare un episodio di Le Fate e Come, Quando, Perchè, uscito postumo e completato da Valerio Zurlini.
Io la conoscevo bene gli valse una nomination ai Nastri D’argento e tre premi nel 1966.
Come osservava Patrizia Carraro nel suo libro “Malafemmena, la donna nel cinema italiano”: Pietrangeli sembra essere stato “completamente immune ai germi del conformismo, dell’ottusità, del razzismo sessuale, del dileggio, della beffa, e della ferocia che hanno contagiato quasi tutti i suoi colleghi“.
Considerato per molti anni il regista delle donne, grazie ai meravigliosi ritratti femminili che ci ha lasciato in tutti i suoi film, nei quali le donne sono sempre protagoniste, Pietrangeli in realtà non era particolarmente indulgente nei confronti del mondo femminile. Il suo interesse, il suo occhio critico, intelligente ed osservatore, nasceva da una profonda misantropia di fondo, dalla sfiducia per il genere umano. Le donne per lui sono state principalmente le spie della condizione umana: non peggiori, nè migliori dell’uomo.
C’è la Celestina (Irene Galter) de Il Sole negli Occhi, una ragazzina di campagna arrivata da Castelluccio a Roma per fare la servetta, che passa da una casa all’altra, tra padrone grette e villane e vecchi signori dalla mano lunga. Ci sono le quattro prostitute di Adua e le compagne, che la chiusura della case costringe a reinventarsi un mestiere, nonostante i sogni d’amore infranti e i pregiudizi maschili. C’è Dora (Catherine Spaak) de La Parmigiana, onesta, avida di vita, sensuale e libera, che soccombe al conformismo, nel ritratto impietoso dell’Italia del boom economico che il regista sa dare di quegli anni. Ne La Visita, Pina (Sandra Milo), donna non giovanissima ma piacente, zitella fornita di un sederone che le è valso dileggi e soprannomi, mette un annuncio per trovare marito. Le risponderà un piccolo borghese avido e meschino (Alberto Sordi). Ma il senso di dignità di Pina sarà più forte della sua, pur profonda, solitudine. Le donne di Pietrangeli sono femministe ante litteram e il loro bisogno di amore non sovrasta mai la necessità di essere libere: posso soffrire e sbagliare, ma non disconoscersi.
Dopo Claudia Cardinale ne Il Magnifico Cornuto e Jacqueline Sassard di Nata di Marzo ecco finalmente Adriana (Stefania Sandrelli) la protagonista di Io La Conoscevo Bene.
Adriana è una bella ragazza di origini contadine e si trasferisce a Roma per tentare la fortuna nel mondo dello spettacolo. Incontrerà sulla sua strada figure sia maschili che femminili bugiarde e squallide, che la sfrutteranno e si prenderanno gioco di lei fino a spegnere del tutto la sua dolcezza e vitalità quasi fanciullesche e ogni sogno di successo. Nessuno si salva, senza distinzioni sociali: impresari, intellettuali e miserabili. In questa carrellata di casi umani, è indimenticabile il personaggio di Bagini, interpretato da un superbo Ugo Tognazzi che rischia l’infarto e si esibisce come un animale da circo pur di compiacere un potenziale datore di lavoro.
Adriana è una ragazza “facile” e leggera che tutti credono di conoscere bene, soprattutto chi si è approfittato di lei, ma che nessuno ha mai compreso e tantomeno amato. La sua bellezza esteriore è quella di una donna, quella interiore è quella di una ragazzina in fuga dalla povertà e dal lutto che nulla conosce del mondo e tutto accoglie con divertimento e gioia, nascondendo spesso le lacrime. Il mondo distruggerà queste bellezze fragili senza averle mai riconosciute.
Stefania Sandrelli, giovanissima, interpreta uno dei ruoli più delicati, poetici e significatici della sua carriera.
Io La Conoscevo bene è un capolavoro assoluto e per questo non può subire le usure del tempo, restando sempre modernissimo. Il cinismo sordido e la vacuità di un certo mondo dello spettacolo, l’osservazione di un’Italia che corre verso la tanto agognata ricchezza e benessere e si ritrova di fronte al sordido e alla morte, è ben descritta anche nel film ad episodi: Ro.Go.Pa.G. (Rossellini, Godard, Pasolini e Gregoretti), uscito nel 1963, tre anni prima.
Sono gli albori di una società, oggi portata a compimento, che manda messaggi illusori, promette felicità basate sul possesso di oggetti e sul riflesso delle proprie immagini patinate e glassate, per convogliare tutto in un tritacarne spietato, nel quale sono i più semplici, ingenui e indifesi a scomparire per primi.
Adriana è una contadina, una puttana, una sciocca ma anche una fata, una creatura mistica e poetica dalla pura bellezza che ognuno crede avidamente di possedere ma che sempre sfugge in un altrove fatto di vetri, specchi, riflessi e vuoti di un’anima inconoscibile. Lapidata dai giudizi, dagli abbandoni, dalle delusioni, muore in sacrificio per la libertà di tutti i sognatori.
La fotografia ad opera di Armando Nannuzzi, che si concentra in lirici ritratti pittorici e paesaggistici, sottolinea la pulsione di morte del film, una avanzata inesorabile che contrasta con le musichette allegre, le feste, le apparenti superficialità.
Il commento musicale di Pietro Piccioni, che fa da contrappunto ai lunghissimi piani sequenza è splendido ed intonato alla malinconia straniante della storia, insieme alle tante canzoni dell’epoca interpretate da Mina, Peppino di Capri, Sergio Endrigo, Gilbert Becaud e Ornella Vanoni.
Io la conoscevo bene è stato selezionato tra “i 100 film italiani da salvare”.
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