La collana “I migliori film della nostra vita” (edita da Gremese, diretta da Enrico Giacovelli) si arricchisce di un pezzo forte: “L’invasione degli ultracorpi di Don Siegel” scritto da Alberto Morsiani, lettura profonda e davvero convincente del leggendario cult degli anni Cinquanta. Un agile saggio in forma di manuale che sin dalle prime pagine evoca l’importanza della filosofia e il nostro rapporto con la scienza, il degrado del mondo contemporaneo prodotto dalla tecnologia e la meraviglia che il cinema – soprattutto un certo cinema – può ridestare nell’uomo di oggi, invitato a volgere gli occhi verso il cielo stellato da cui originano le paure intercettate da film seminali come quello di Don Siegel, pellicola in grado di innescare un filone e soprattutto un atteggiamento psicologico.
Morsiani giustamente cita La cosa da un altro mondo di Howard Hawks quando, nel finale del film, la radio ammonisce a guardarsi dal cielo, perché la fantascienza sembra nascere da lì come antidoto immaginifico al condizionamento tecnico, ad un sistema di regole che ha reso l’uomo in apparenza più libero e più ricco ma in realtà partecipe di una deriva incontrollata. L’importanza del mito e dei miti è ribadita dal libro, che si legge con grande piacere, colmo di dettagli minuziosi e animato da una vocazione pedagogica, capace di immergere nelle atmosfere ma soprattutto nelle tensioni agitate dal grande cinema di fantascienza. Perché di quel genere, riproposto nei suoi capisaldi e con dettagli e segreti dal libro, il film di Siegel è un modello ineguagliato, che trova la sua dimensione epica nel passo drammatico del grande cinema degli anni Cinquanta, tra i territori di fuga di un protagonista, uomo della porta accanto, costretto a frequentare una paura intollerabile in un contesto pronto a lasciar emergere la paranoia affrontata da Siegel dando corpo a incubi post-atomici resi attuali da Hiroshima, con le orribili conseguenze delle radiazioni che trasformarono tragicamente i temi fantascientifici dei viaggi cosmici, delle mutazioni, dei trapianti e della distruzione totale.
L’invasione degli ultracorpi, che uscì negli USA il 5 febbraio 1956 e in Italia nell’ottobre dell’anno dopo, è un momento importante nella storia del cinema anche perché traghetta un tema sociale nel campo del cinema di genere e lo trasforma in un modello in grado di sorprendere e spaventare nel profondo, offrendosi, nella sua natura di film di fantascienza con venature horror, come il racconto capace di innescare plurime interpretazioni ideologiche (di destra, di sinistra, di centro), pur all’interno di un sottogenere tipicamente americano come lo small town movie. Si tratta del cinema moderno, controverso e sfaccettato, di un regista irriducibile, che si affaccia clamorosamente nel contesto dei generi. La ricchezza del film, che si accompagna al piacere del disvelamento della paranoia così abilmente attraversata dal racconto, è pienamente definita e analizzata da Morsiani nel suo libro, che come per tutti i titoli della collana “I migliori film della nostra vita” appare agile e al contempo estremamente minuzioso. L’autore coglie la profonda capacità di sintesi drammatica del film attraversando con devota passione, ad una ad una, tutte le piste autorizzate dall’esercizio meticoloso della critica alta, quell’attitudine che attraverso la penna dell’autore ritorna ad essere una nobile arte: dall’inquadramento del film all’interno del corpus filmico di Don Siegel, alla lettura stilistica, cogliendo la singolarità del racconto all’interno del noir degli anni Quaranta e Cinquanta e in particolar modo in quel sottofilone che mescola l’indagine di un singolo alla paranoia collettiva (l’autore cita anche Un bacio e una pistola di Robert Aldrich per contestualizzare i riferimenti all’epoca maccartista presenti nel film di Siegel). Emerge dal libro una lettura che finalmente rende giustizia della natura proteiforme del film di Siegel, allegoria sociale e classico del cinema statunitense giunto nelle sale come lo scandaglio di una democrazia incapace di evolvere, pronta a degenerare in una palude in cui la passione, i sentimenti e il conflitto paiono brutalmente rimpiazzati da un collettivismo che, proprio in quanto malamente interpretato, rischia di appiattire gli individui ad un livello prossimo a quello di “baccelli”. Tra i motivi d’interesse del libro di Morsiani, anche il ridare voce a Don Siegel, il quale, ad una domanda sul presunto anti-fascismo del film, rispose: “Ciò che volevamo attaccare era piuttosto un generale stato della mente che si può trovare nella vita di tutti i giorni. Mi sembrava più eccitante, anziché vedere la storia come un intreccio fascista, mostrare come uno stato mentale molto ordinario possa trasformarsi in una tranquillissima small town e spargersi nell’intera nazione. Ma è certamente possibile accettare l’interpretazione suggerita. Non ho obiezioni. Penso che sorga naturalmente perché lo scopo del fascismo è che la gente sotto il suo dominio debba essere così, senza emozioni e personalità, vegetali”. Le pagine di Morsiani sono avvolgenti, belle da leggere e da seguire nella preziosa impaginazione che riporta numerose e ricercate immagini in bianco e nero. Un film memorabile e talmente pregnante che persino i remake ufficiali ebbero variamente modo di beneficiarne (Terrore dallo spazio profondo, 1978; Ultracorpi – L’invasione continua, 1993; The invasion, 2007).
Alberto Morsiani, L’invasione gli ultracorpi di Don Siegel, Gremese Editore, ill. in bn, pp. 130, euro 18,00.
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