E’ arrivato quasi in sordina. Piccolo, magro, il passo breve, l’aria un po’ spaesata e spaurita, ma con gli occhi sempre vispi dell’eterno monello, di quel Pierino eroe delle barzellette immortalato in una serie di film all’inizio degli anni Ottanta (Pierino contro tutti di Marino Girolami, 1981, Pierino medico della SAUB di Giuliano Carnimeo, 1981, Pierino colpisce ancora di Girolami, 1982) che sbancarono al botteghino, facendo la fortuna di produttori che con parte dei proventi potevano così finanziare il cinema d’autore. Ma non solo Pierino, come sottolinea il titolo del suo libro, edito da Falsopiano e scritto in collaborazione con Ignazio Senatore, presentato in anteprima il 10 ottobre al Festival Adelio Ferrero di Alessandria.
Parliamo di Alvaro Vitali, il simpaticissimo attore comico e caratterista romano che lo scorso febbraio ha compiuto settant’anni. Per uno strano gioco del destino, l’evento si è svolto in un locale di via Parma, il cui nome ha un collegamento ben preciso con gli inizi della sua carriera, quando giovanissimo lavorava ancora come elettricista in un negozio di Trastevere: il Tip Tap. Accettato l’invito di un capogruppo a recarsi a un provino a Cinecittà, dove Federico Fellini cercava tipi piccoletti come lui, Vitali fu scritturato dal regista romagnolo dopo essersi cimentato con gran fragore nel fischio del merlo e così lavorò dapprima nel film Satyricon (1969) e poi ne I clowns (1970). Fellini lo prese in simpatia e, convinto che avesse tempi comici perfetti, lo chiamò anche per il film Roma (1972), dove avrebbe dovuto fare la parodia di Fred Astaire davanti a un pubblico scalmanato che a un certo punto lancia un gatto morto sul palco. Mandato a studiare il tip tap (ed ecco il nesso) dal coreografo Gino Landi, sorprese tutti imparando davvero a ballare il tip tap dopo sole due settimane. Il segreto? La paura di non poter lavorare nel film e di non mangiare, visto e considerato che nel frattempo aveva perso il suo lavoro di elettricista. L’anno dopo avrebbe accennato qualche passo di tip tap anche in una paio di scene del film di Alberto Sordi Polvere di stelle (1973).
Non solo Pierino e non solo Fellini. Oltre al debutto cinematografico col maestro (recitò per Fellini anche in Amarcord, 1973, per un totale di quattro film) e oltre ad aver poi legato la sua fama al filone della commedia sexy degli anni Settanta (inaugurato nel 1975 da L’insegnante di Nando Cicero con Edwige Fenech) e al personaggio a lui congeniale dell’indisciplinato Pierino (che però, va detto, finì con l’ingabbiarlo in un cliché), Alvaro Vitali ha spaziato in diversi generi e ha lavorato con molti altri importanti registi che hanno saputo valorizzarne la fisicità, anche se in piccoli ruoli marginali. Roman Polanski lo volle nel film Che? nella parte di un imbianchino. “Mi fece dire dall’interprete che mi aveva voluto nel suo film perché ero felliniano”, racconta l’attore nel libro. Lo vollero anche Dino Risi (Mordi e fuggi, 1972, Profumo di donna, 1974, Telefoni bianchi, 1976), Luigi Magni (La Tosca, 1973), Pasquale Festa Campanile (Rugantino, 1973), Mario Monicelli (Romanzo popolare, 1974), Giorgio Capitani (La pupa del gangster, 1974), Sergio Nasca (Vergine e di nome Maria, 1975), Jeanne Pierre Rawson (Cocco mio, 1979), Sergio Citti (Mortacci, 1988). Si trattava sempre di parti secondarie, ma come poteva dire di no a Polanski o a Risi ? E inoltre era l’occasione per lavorare al fianco di grandi professionisti come Ugo Tognazzi, Marcello Mastroianni, Vittorio Gassman, Adriano Celentano, Mariangela Melato: “quando sei vicino a mostri sacri come loro hai sempre da imparare”.
Intervistato da Benedetta Pallavidino e Ignazio Senatore, oltre a raccontare alcuni aneddoti divertenti riportati nel libro, Alvaro Vitali ha parlato inoltre dei suoi attori preferiti, primo fra tutti Lando Buzzanca (nel 1974 fece una breve apparizione in un suo film, L’arbitro di Luigi Filippo D’amico, nel ruolo di un postino che recapita una lettera a Buzzanca) ma anche Mel Brooks e Franco e Ciccio, e di quei colleghi più amati con i quali ha condiviso molte volte il set: l’istrionico Mario Carotenuto, che per lui fu quasi un padre, Edwige Fenech, Gloria Guida, Gianfranco D’Angelo, Renzo Montagnani. Una nota triste del libro riguarda proprio l’amico Montagnani. “Purtroppo la sera Renzo beveva una bottiglia di Vat 69 (un whisky molto popolare) e poi andava a dormire”, ricorda Vitali. “Aveva un figlio autistico e, forse, beveva per dimenticare la sua tragedia familiare”. “Veniva dal teatro, iniziò a fare queste commedie sexy e mi diceva sempre: Faccio tutto, tutto quello che capita. Mandava i soldi alla moglie per mantenere e curare il figlio”.
Dopo autografi e selfie, rigorosamente con la mascherina, al Teatro Alessandrino gli è stato consegnato il Premio Adelio Ferrero per la sua intensa carriera. “Sempre targhe, mai un’automobile!”, ha scherzato l’attore.
Sul set di Amarcord, dove interpretava uno degli scolari impertinenti, Fellini fece indossare ad Alvaro Vitali un cappello, i pantaloni alla zuava, lo guardò e gli disse: “mi sembri Pierino”. Fu una sorta di investitura. Fellini gli aveva portato fortuna perché, a distanza di qualche anno, i suoi film da protagonista (oltre ai vari Pierino e alle varie infermiere, soldatesse, liceali, ricordiamo Giggi il bullo di Marino Girolami, 1982, Gian Burrasca di Pier Francesco Pingitore, 1982, Paulo Roberto Cotechiňo centravanti di sfondamento di Nando Cicero, 1983) registrarono incassi miliardari. Ma la critica lo ha sempre disprezzato. Certo, non si può far finta di niente e negare il fatto che tanti dei suoi film fossero un po’ caciaroni, a tratti volgarotti, realizzati frettolosamente, un cinema che veniva chiamato in tono sprezzante “scorreggione”. Ma facevano ridere e soprattutto vendevano molto all’estero, al contrario dei film comici che si fanno oggi, e tenevano in vita l’industria cinematografica italiana. Anche volendo definirli trash, resta il fatto che Alvaro Vitali è stato e rimane una maschera inconfondibile, al pari delle altre maschere popolari del cinema italiano. Se registi del livello di Fellini, Risi, Polanski lo hanno cercato, qualcosa vorrà pur dire ! Nel 2018 è arrivato il Leone d’argento alla carriera, tardivo riconoscimento che lo ha risarcito almeno in parte dei severi commenti dei critici. “Quelli sò fatti a posta pè rompe e fatte ammattì”, diceva la canzone scritta da Berto Pisano per i film di Pierino. Ma di recente, il riconoscimento più grande è stato quello di Valerio Manisi, che ha voluto offrirgli un ruolo drammatico (l’unico della sua carriera) nel cortometraggio Vivi la vita, riflessione dolce e commovente sul tempo che passa, accolto con entusiasmo in tutti i più importanti festival italiani ed europei. Come ha spiegato il giovane regista, in questo film il volto di Alvaro Vitali “appare cambiato rispetto alla sua precedente forma emblematica e stilistica, restituito oggi in un nuovo risultato, scolpito da sofferenze e allegrie per mano di quell’immortale scalpellino chiamato Tempo. Che inevitabilmente passa. Per tutti!”.
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