“Bisogna tentare: è una di quelle professioni in cui si parte con la valigia di cartone e si va”, aveva detto il compianto scenografo alessandrino Carlo Leva in un’intervista degli anni Ottanta, rivolgendo qualche utile consiglio a chi avesse voluto intraprendere la sua stessa attività e lavorare nel cinema.
Oltre al ricordo di Federico Fellini nel centenario dalla nascita, gli organizzatori dell’edizione 2020 del Festival Adelio Ferrero Cinema e Critica di Alessandria hanno voluto rendere omaggio anche al grande Carlo Leva nella serata conclusiva del 10 ottobre scorso, “uno degli uomini che hanno fatto grande il cinema italiano” come ha detto Renato Venturelli. In presenza della moglie Maria Teresa, visibilmente commossa, è stato proiettato un interessantissimo documentario realizzato nel 2014 dall’associazione Settima Arte, quando Leva era ancora in vita, e diretto da Franco Masselli, dal titolo L’architetto dei sogni. Carlo Leva scenografo, che in poco più di quaranta minuti ripercorre le tappe saliente della carriera di Leva con interviste inedite all’artista e testimonianze di Paolo Conte, Tonino Valerii, Josè Altafini, Massimo Poggio e Alberto Basaluzzo. Un pezzo di storia del cinema italiano, che oggi rivive anche in quel piccolo museo ch’è diventato il palazzo marchionale di Bergamasco (paesino della provincia di Alessandria) dove viveva con la moglie e dove sono conservati migliaia di bozzetti e alcuni preziosi reperti di scenografie originali, come il letto di Claudia Cardinale dal film C’era una volta il West di Sergio Leone.

C’era Una Volta Il West
Nato a Bergamasco nel 1930, da bambino visse i primi germogli di quella che sarebbe divenuta la sua professione quando all’età di cinque anni uno zio gli regalò un piccolo teatro di burattini dotato di tre scenografie. Per raccontare le storie con le quali amava intrattenere i suoi amici, aveva bisogno di un apparato scenografico più complesso e così iniziò a costruire lui stesso fondali di cartone che rappresentassero le più svariate scene. Trasferitosi a Genova con la famiglia, fu avviato controvoglia agli studi di geometra ma prestò preferì frequentare il liceo artistico, nonostante la disapprovazione dei genitori. Durante il servizio militare a Roma, ebbe modo di proporre alcune vignette disegnate da lui alle redazioni di giornali umoristici come il «Marc’Aurelio» e conobbe Giovanni Mosca, celebre giornalista e umorista, che gli diede utili ragguagli. Successivamente vinse una delle borse di studio messe in palio dalla Rai per la formazione di giovani collaboratori residenti fuori Roma e per quattro anni si formò all’Accademia di Belle Arti della capitale. In quel periodo ebbe modo di creare gli arredi per alcuni dei locali più in voga che all’epoca animavano la Roma notturna della “Dolce vita” (Le grotte del piccione, Il Broadway Club, La Nave di Fregene) e altri locali a Ischia e Capri. Un passo importante per i suoi esordi di carriera fu quello di lavorare a un popolare carosello televisivo diretto da Luigi Vanzi che aveva per protagonisti Paolo Stoppa e Lina Morelli. L’ingresso nel mondo del cinema avvenne ufficialmente con i film Sodoma e Gomorra (di Robert Aldrich e Sergio Leone, 1962), Venere imperiale (di Jean Delannoy, 1962) e Peccati d’estate (di Giorgio Bianchi, 1962), dove lavorò come assistente, e Mare matto (di Renato Castellani, 1963), che fu la prima pellicola in cui il suo nome comparve nei titoli come costumista. In realtà, però, già nel 1949, quando non aveva ancora vent’anni, Carlo Leva si era offerto come assistente volontario sul set del film di René Clément Le mura di Malapaga, coproduzione italo-francese con Jean Gabin e Isa Miranda, girato in esterni a Genova.

Carlo Leva
A metà degli anni Sessanta, in qualità di responsabile del reparto scenografie della Titanus, la sua carriera cominciò a decollare, dapprima in una serie di film musicarelli diretti da Ettore Maria Fizzarotti (Una lacrima sul viso, 1964, In ginocchio da te, 1964, Se non avessi più te, 1965, Non son degno di te, 1965, Mi vedrai tornare, 1966), e poi con il fortunato incontro con Sergio Leone, che già aveva conosciuto sul set di Sodoma e Gomorra: insieme a lui e all’architetto Carlo Simi, reinventò un genere e nacquero pietre miliari come Per un pugno di dollari (1964), Il buono, il brutto, il cattivo (1966), C’era una volta il West (1968). Lo scudo di ferro usato da Clint Eastwood nel film Per un pugno di dollari è un altro dei rari cimeli conservati nella casa-museo di Leva a Bergamasco. Nel western all’italiana lavorò anche con Tonino Valerii (Il prezzo del potere, 1969) e Giuliano Carnimeo alias Anthony Ascott (Il West ti va stretto, amico… è arrivato Alleluja, 1972). Ma nella lunga filmografia di Carlo Leva, che conta circa centocinquanta titoli, troviamo molto altro: il film a episodi Tre passi nel delirio (di Roger Vadim, Louis Malle, Federico Fellini, 1968), i film d’autore di Enzo Muzii (Come l’amore, 1968, e Una macchia rosa, 1970), i polizieschi di Stelvio Massi (Squadra volante, 1974, La legge violenta della squadra anticrimine, 1976, Mark colpisce ancora, 1976, La banda del trucido, 1977), Il gatto a nove code di Dario Argento (1971) e perfino alcuni film americani, come Il tormento e l’estasi (di Carol Reed, 1965) per il quale contribuì a ricostruire la Cappella Sistina. E ancora, sceneggiati e programmi televisivi Rai e anche sporadiche prove d’attore, come il cameo al fianco di Alberto Sordi nel film di Jean-Pierre Mocky Il testimone (1978) o una divertente apparizione nel cortometraggio Frankenstein Junior Director Fan’s Cut (2004).

Il Gatto a Nove Code
Carlo Leva è scomparso pochi mesi fa, nella sua terra, all’età di novant’anni.
La visione del documentario di Masselli, nella sala del Teatro Alessandrino, è andata avanti piacevolmente, tra ricordi, aneddoti, filmati d’epoca e qualche rimpianto, come il sogno (purtroppo rimasto tale) di poter trasformare la fortezza sabauda della Cittadella di Alessandria in un grande set cinematografico, un’opportunità persa ma anche il segno dell’inesauribile creatività e voglia di fare di Carlo Leva, anche negli ultimi anni di vita: la voglia di guardare avanti, sempre. “Ho disegni delle scenografie di un film dedicato alle origini del circo equestre: si sarebbe dovuto girare qui”, racconta Leva quasi in chiusura, “purtroppo non venne mai realizzato. Rimangono nel mio cuore”.
Aveva ragione l’amico Claudio Braggio, sceneggiatore piemontese, quando in occasione della scomparsa di Leva parlò di “uno scenografo che alle indubbie qualità affiancava abnegazione e serietà professionale; insomma, il valore di un lavoro ben fatto che costa fatica fisica e molte ore di impegno” e che “ha regalato a milioni di persone un evento di svago intelligente ed accurato”.
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