Persino Stephen King raccontava che di tutte le sue storie e romanzi, Pet Sematary era quello che più lo aveva spaventato. Il libro fu scritto nel 1983, ispirato a sua volta dal racconto La Zampa di Scimmia di William W. Jacobs, tratto da una leggenda popolare. Ne La Zampa di Scimmia, l’oggetto magico dava il potere di far tornare dal mondo dei morti i cari estinti e una famiglia esprimeva il desiderio di rivedere il proprio figlioletto scomparso prematuramente. King unisce la leggenda a un’esperienza personale e porta il tutto alle estreme conseguenze.
Alla figlia dello scrittore infatti, allora bambina, era morto il gattino, che era stato sepolto in un terreno vicino casa. King si chiese cosa sarebbe accaduto se l’animale fosse tornato, non esattamente uguale a prima e se un genitore colpito da un lutto avesse avuto la possibilità di far rivivere il figlio. Le premesse sono agghiaccianti. Ed infatti dal romanzo di Stephen King fu tratto il celebre film Cimitero vivente, per la regia di Mary Lambert nel 1989, che fu un grande successo. Lo stesso scrittore ne scrisse la sceneggiatura ed apparve in un ruolo cameo.
Pet Sematary, il remake, è diretto da Kevin Kolsch e Dennis Windmyer, che hanno lavorato insieme in Absence e Starry Eyes. I cambiamenti devono essere forieri di grande apprensione per gli scrittori americani, perchè come da classico script, la famigliola composta dal Dr. Louis Creed (Jason Clarke), la moglie Rachel (Amy Seimetz) e i loro due figli trasloca dalla città in una casa in campagna, nei pressi della quale sorge uno strano cimitero per gli animali. In esso si sono svolti oscuri rituali in passato, ad opera di alcune tribù e tutt’ora accadono strane cose. Le terribili conseguenze di questa vicinanza, saranno sottolineate dalla colonna sonora che è a sua volta un remake della canzone Pet Sematary dei Ramones, qui proposta nella versione degli Starcrawler, dai toni più pop e sofisticati.
Pet Sematary, ben interpretato e sceneggiato a dovere, ha il grave difetto della maggior parte dei remake horror: non mette poi molta paura. Le immagini patinate ed evocative, alle quali si affida l’effetto straniante di inquietare lo spettatore, da sole non bastano a ricreare quel mistero e quell’attesa che una storia dal potente potenziale potrebbe avere. Sembra che la qualità della fotografia e delle immagini, nonché degli effetti speciali, vada di pari passo con la diminuzione del pathos e la capacità di tenere incollato allo schermo lo spettatore. Il film non attinge al libro, ma si limita a riprodurre il film precedente, con qualche cambiamento nella storia e perde così tutte quelle sfumature psicologiche e narrative che hanno reso inquietante e spaventoso il lavoro originale.
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