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Speciale Halloween: il nero mantello del conte Dracula

Mario Galeotti Articoli Ott 27th, 2020 0 Comment

In molti forse lo ricordano come il triste, declinante attore di origini ungheresi che, negli ultimi anni di vita, era stato ingaggiato in pessime produzioni di serie B (Glen or Glenda?, 1953, La sposa del mostro, 1955, Plan 9 from Outer Space, uscito postumo nel 1959) da Edward D. Wood Jr., lo strambo e visionario cineasta passato alla storia come “il peggior regista di tutti i tempi” che Tim Burton riportò alla ribalta negli anni Novanta con la bellissima cine-biografia Ed Wood (1994). Parliamo di Bela Lugosi (1882 – 1956), al secolo Béla Blasko, che nel film di Tim Burton è impersonato da Martin Landau (per la sua efficace performance Landau si aggiudicò l’Oscar, il Golden Globe e numerosi altri riconoscimenti come miglior attore non protagonista). Ma prima del commovente e crepuscolare ritratto fattone da Landau nel film di Tim Burton, non bisogna dimenticare che Lugosi è stato il più popolare, elegante e apprezzato Dracula della scena teatrale di Broadway e del grande schermo (a partire dal film della Universal Dracula, di Tod Browning, 1931), almeno fino a quando il celebre conte vampiro non ha assunto, verso la fine degli anni Cinquanta, quelle sembianze diabolicamente eccitanti e sanguigne del magnetico Christopher Lee che, tra allusioni falliche e schizzi di sangue in Technicolor, liberò Dracula dalla “compostezza da manichino di Lugosi” (G. Cremonini).

Bela Lugosi

Il forte accento ungherese di Lugosi, la sua parlata fatta di frasi scandite quasi meccanicamente, ebbero il pregio di accentuare il carattere esotico del personaggio. Il suo Dracula non era il vecchio descritto da Bram Stoker nel romanzo gotico pubblicato nel 1897, ignorava del tutto i connotati mostruosi del vampiro calvo e ossuto tratteggiato da Max Schreck nel film espressionista Nosferatu (di Friedrich Wilhelm Murnau, 1922, liberamente tratto dal libro di Stoker) e non era ancora intriso di quella esplicita sessualità che avrebbe fatto la fortuna degli horror prodotti dall’inglese Hammer con la coppia Peter Cushing – Christopher Lee. Il Dracula di Bela Lugosi era un gentiluomo in frack, coi capelli impomatati, ammaliatore, seducente, che non mostrava ancora i canini appuntiti, lasciando molto all’immaginazione. Giorgio Cremonini, però, ha messo in luce come a volte il rischio, nell’interpretazione di Bela Lugosi, fosse stato quello di scivolare nella “contaminazione ironica” dove “il gusto hollywoodiano dello spettacolo finisce per sovrastare la seriosità degli approcci europei e non rinuncia alle tentazioni di una moderata ma accattivante parodizzazione del mito”. Ma l’aspetto più interessante è che l’immedesimazione di Bela Lugosi col personaggio di Dracula fu così profonda e irreversibile da originare in lui una vera e propria psicosi, al punto che sembra che pochi istanti prima di morire (il 16 agosto del 1956, a Los Angeles) l’attore avesse pronunciato queste parole: “Io sono il conte Dracula, io sono il re dei vampiri, io sono immortale” (Edgardo Franzosini).

Christopher Lee

Se nella festa di Halloween, quello del conte Dracula – dopo le molteplici occasioni con le quali il mito del vampiro, nel corso dei decenni e attraverso le varie forme della cultura di massa, si è potuto riproporre – è senza dubbio uno dei travestimenti irrinunciabili, con l’immancabile mantello nero foderato di rosso all’interno, per Bela Lugosi quello stesso mantello, sia sulla scena che nella vita reale, ha rappresentato molto più che un semplice travestimento: è stato l’oggetto che per tutta la vita ha plasmato in maniera indelebile la sua personalità, di uomo e di artista. Proprio come una creatura che esercita un controllo irrefrenabile sulle sue vittime, il Dracula impersonato da Bela Lugosi ha finito col soggiogare il suo stesso interprete, lo ha posseduto, lo ha abitato e si è nutrito di lui fino alla fine.“Quando faccio Dracula cado in una sorta di trance, mi ci vuole un bel po’ di tempo prima che mi riprenda”, diceva Martin Landau nei panni dell’attore ungherese nel film di Tim Burton, ma in realtà è come se Bela Lugosi non fosse mai riuscito a liberarsi veramente del personaggio. E come ha raccontato l’amico Ed Wood in persona, “i ragazzini adoravano Lugosi e non c’era Halloween in cui non comparisse sulla porta di casa vestito da Dracula, con caramelle gialle e marroni a forma di strega”.


Nato a Lúgos nell’Austria-Ungheria (oggi Lugoj, in Romania), Bela Lugosi debuttò in teatro all’età di vent’anni. Dopo aver lavorato con diverse compagnie, nel 1912 entrò a far parte del Teatro Nazionale Ungherese, recitando in allestimenti di famosi drammi e tragedie. Alla vigilia della Grande Guerra debuttò nell’industria del cinema, dapprima come semplice generico e successivamente in ruoli di antagonista in alcuni film prodotti dalla Star es Phoenix. Durante la guerra fu per due anni tenente nel 43° reggimento di fanteria ungherese e alla fine del conflitto andò a Berlino per tentare la fortuna nel cinema della Repubblica di Weimar, fino a quando nel 1921 non decise di imbarcarsi su un piroscafo in partenza da Trieste con destinazione gli Stati Uniti d’America: ma senza mai rinnegare le proprie origini ungheresi, tanto che il nome d’arte da lui scelto per intraprendere la nuova carriera americana voleva proprio essere un omaggio alla sua città Natale, Lúgos. Fu oltreoceano che avvenne l’incontro, e anche la sua folle identificazione, con il personaggio che lo avrebbe reso famoso in tutto il mondo, Dracula, prima nelle riduzioni teatrali del romanzo di Stoker e poi nell’adattamento cinematografico di Tod Browning. Un critico disse: “l’interpretazione di Lugosi è tale da guadagnargli non solo la fama, ma anche l’immortalità!”. Parole profetiche, se si pensa all’ossessiva immedesimazione che andò generandosi nella mente dell’attore e al modo con cui arredò la sua villa sulle colline di Hollywood nel suo momento di maggior successo: una casa “lussuosamente gotica” come scrisse un cronista dell’epoca, abitata anche da pipistrelli e gatti neri, dove le pareti erano decorate con grosse armature, lance, mazze di ferro, scheletri: opera minuziosa dei tecnici e scenografi della Universal, ma anche il frutto stravagante di un processo simbiotico che portava Bela Lugosi a vestire i panni del vampiro anche fuori dal set. Pur avendo interpretato molti altri ruoli (tra i suoi film ricordiamo almeno Il dottor Miracolo di Robert Florey, 1932, L’isola degli zombies di Victor Halperin, 1932, The Black Cat di Edgar G. Ulmer, 1934, Ninotchka di Ernst Lubitsch, 1939, Il figlio di Frankenstein di Rowland V. Lee, 1939, L’uomo lupo di George Waggner, 1941), la sua carriera e la sua esistenza intera rimasero indissolubilmente legate al mito del non morto transilvano. Pochi giorni prima di morire, ricoverato in una clinica di Los Angeles, disse guardando la televisione: “mi si dovrà spiegare perché sono ritenuto pazzo per il solo fatto di credermi il conte Dracula, dal momento che l’intero mondo che voi mi mostrate attraverso questa scatola si rivela molto più assurdo e più folle di quanto possa essere io” (E. Franzosini).
Il critico e storico del cinema Jean Boullet riportò un curioso aneddoto: “L’ultimo visitatore venuto a inchinarsi davanti al cadavere di Bela Lugosi si stava dirigendo lentamente verso l’uscita quando nell’interminabile corridoio dell’ospedale si verificò un evento sorprendente: egli vide infatti volteggiare un gigantesco pipistrello nero, che lo seguiva con volo silenzioso e ovattato. Quando aprì la porta a vetri che dava sulla strada, udì alcuni colpi d’ala e scorse la bestia fuggire verso il cielo dove il sole era sul punto di tramontare”. Fantasia, suggestione, leggenda? Quel che è certo è che Bela Lugosi volle essere sepolto nel nero mantello del conte Dracula.

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Mario Galeotti

Mario Galeotti

(Sestri Levante, 1974) Ha conseguito il dottorato di ricerca presso l'Università di Genova. Si occupa di storia del cinema e dello spettacolo e ha una lunga esperienza nel settore degli audiovisivi. Attualmente collabora con le testate on line InsideThe Show e Carte di Cinema. E' autore di diversi libri: Dino l'amico italiano. Vita e carriera di Dean Martin (Falsopiano, 2017), Immagini e presenze americane nel cinema italiano (Europa Edizioni, 2018), Grande Tony. Little Tony, storia matta di un cuore rock (Arcana, 2018), Lo squadrone bianco. Il cinema coloniale italiano negli anni del fascismo (La Tigulliana, 2019), Peter Cushing e i mostri dell'inferno (Falsopiano, 2020).

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