Lettere da una sconosciuta
Regia: Max Ophüls; drammatico, USA, 1948
Interpreti: Joan Fontaine, Louis Jourdan, Mady Christians, Marcel Journet, Art Smith, Carol Yorke
Ore 01,50, La 7, Canale 7; durata: 89’.
«A te, che mai mi hai conosciuta» inizia così la lettera che la pallida e bionda Lisa indirizza a Stefan, l’uomo che ha sempre amato, amato da sempre e che non l’ha mai vista, mai conosciuta veramente, nonostante una notte trascorsa insieme (tre nel romanzo) dalla quale è nato anche un figlio.
Tratto dal racconto “Lettera di una sconosciuta (Brief einer Unbekannten)” di Stefan Zweig, l’omonimo film, ambientato nella Vienna di inizio 900, è uno dei più raffinati capolavori del regista tedesco Max Ophüls e narra di una passione amorosa unilaterale che si sviluppa in un amour fou destinato al dramma, ad un epilogo tragico. Osservare, senza essere vista – così inizia l’amore di Lisa, ancora bambina, per il bello e talentuoso pianista vicino di casa. Amare, senza esserne riamata. Lui è un dongiovanni, fatuo, dotato di ogni qualità di superficie, è l’apparire, mentre Lisa rappresenta l’essere. Con caparbia follia la fanciulla, divenuta donna, non aspetta altro che di cadere tra le braccia di Stefan, al quale dedicherà tutta sua vita, senza che lui si accorga mai veramente di lei.
Film malinconicissimo, non solo per la trama ma per l’ideologia struggente, poetica e romantica legata al destino umano che l’avvolge, Lettera da una sconosciuta è forse il capostipite di un genere che ha la sua apoteosi durante la nouvelle vague francese, espressa con Adele H di François Truffaut. Non per nulla Ophüls era elogiato dai “Cahiers du Cinema” e molto amato anche da Stanley Kubrick. Max Ophüls spesso traeva ispirazione per i suoi lungometraggi da Snitzler, Maupassant e Zweig, solo per citare alcuni degli autori teatrali e letterari da cui egli, già regista teatrale e solito portare in scena Ibsen e Molière, ha attinto.
In Lettera da una sconosciuta appaiono due degli elementi fondamentali del suo cinema: l’amore per la musica, che fa diventare il protagonista un musicista (mentre nel libro originario era un romanziere) e la voce narrante fuori campo. In questo caso si tratta di quella di Lisa, la sconosciuta della lettera, che “legge” la storia fino alla fine del film, pur essendo morta fin dal suo inizio. Il film, il secondo prodotto oltreoceano per il regista tedesco, è inizialmente un insuccesso di critica e pubblico in Usa e in Francia, ma diventa poi uno dei preferiti dalle tv americane per la sua grande carica drammatica, inscenando quello che diventerà un topos per molti altri racconti: “Quando leggerai questa lettera io sarò forse già morta.”
Alla fin fine infatti, la vita piena di relazioni fuggevoli, effimeri successi, balorda e sprecaticcia del protagonista, che nulla si vieta e in nessuna follia si perde, concentrato sempre su sé stesso, sbiadisce meschinamente di fronte a quella di Lisa, guidata dal lucido delirio dell’amore non ricambiato, poetica e sublime nel suo sacrificio silenzioso. Quando Stefan finalmente riesce a vederla, a riconoscerla, quando smette di essere una sconosciuta, è già troppo tardi.
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