Nome di donna
Regia: Marco Tullio Giordana; Drammatico; Italia, 2018
Interpreti: Cristiana Capotondi, Valerio Binasco, Stefano Scandaletti
Ore 21.35, RAI 1 Canale 1, durata 100′
Nome di donna firmato dalla regia di Marco Tullio Giordana, su un soggetto di Cristiana Mainardi, è il film in onda su RAI 1 questa sera 25 Novembre, nella giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne. E’ una data ufficializzata dall’Assemblea Generale dell’ONU in ricordo delle violenze e dell’assassinio delle sorelle Mirabal, considerate esempio di donne rivoluzionarie per l’impegno con cui tentarono di contrastare il regime di Rafael Leónidas Trujillo. Il 25 Novembre del 1960 le tre sorelle dominicane furono stuprate, torturate, massacrate a colpi di bastone e strangolate dal Servizio di informazione nazionale per poi essere abbandonate in un precipizio all’interno della propria auto, per simulare un incidente.
Nome di donna prende il titolo da un’etichetta su un faldone che raccoglie denunce, testimonianze, istanze e requisitorie, ritratto in un fotogramma del film. Con quella denominazione su un raccoglitore, si riassumono i nomi e le storie di molte donne, vittime di abusi e violenza: fisica, sessuale, psicologica. Marco Tullio Giordana pone l’attenzione su quel tipo di abuso legato alle condizioni lavorative, ove il potere conferito da una scala gerarchica sconfini nella forma di violenza sessuale su chi non può sottrarsi per necessità economiche e non denunciando il fatto.
Un’indagine Istat, svolta nel 2008/2009, ha accertato che in Italia circa la metà delle donne, in un arco di vita tra i 14 e i 65 anni, ha subito ricatti sessuali sul lavoro. In numeri: 10 milioni e 485 mila donne. Un numero decrescente nel nuovo rapporto 2015/2016 (8 milioni e 816 mila donne) ma che conferma che quasi un milione e mezzo di donne ha subito molestie fisiche o ricatti sessuali sul luogo di lavoro.
Lo ius prima noctis non sembra perdersi nella notte dei tempi, a quanto pare. Il diritto del signore a consumare la prima notte con la sposa del servo della gleba, è cambiata nella forma ma non nel contenuto, in quanto, esiste ancora il potere di assoggettare al proprio volere chi appare più debole, in senso gerarchico, appunto in un contesto lavorativo, e, quindi, ricattabile per la sopravvivenza che gli concede il salario del proprio lavoro.
Nina, la protagonista del film interpretata da Cristiana Capotondi, ha bisogno di un lavoro. Lascia la città e si trasferisce con la figlia in campagna, quindi, lavorando come inserviente in un’elegante villa per anziani gestita da privati e rappresentanti della chiesa.
Nina è una ragazza madre, condizione sottolineata con umiliazione sin da subito dai datori di lavoro. Svolge il suo lavoro con professionalità, con attenzione e con quell’umanità e gentilezza necessaria che richiede il ruolo che ricopre. Ciò la porta ad essere apprezzata dagli anziani ospiti della villa, in particolare, da un’attrice di teatro (Adriana Asti). Una sera, a fine turno, Nina è convocata dal dirigente della villa che la molesta sessualmente. Nina scoprirà che Il dirigente perpetra da tempo tale violenza sulle lavoranti. Nina, non senza ostacoli, si ribellerà difendendo la propria dignità di donna e di lavoratrice. Affronterà non soltanto il dirigente della struttura, ruolo che Valerio Binasco ha accettato con il grande coraggio di calarsi nei panni dello sgradevole ripugnante molestatore, ma dovrà misurarsi con la disapprovazione delle altre colleghe, altre donne che come lei hanno subito molestie, ma sulle quali hanno taciuto.
Un film necessario, che mette lo spettatore di fronte all’emergenza di un cambiamento culturale negli uomini, ma anche nelle donne. Perché ognuno, uomo o donna, sa cosa sta succedendo, sa qual è il limite, la linea d’ombra. E chi la oltrepassa sa benissimo di violare un confine.
Il film è sostenuto da Amnesty International: “Consapevolezza, coraggio, denuncia e pieno accesso ai diritti, sono gli strumenti per combattere le violazioni dei diritti umani delle donne, di cui le molestie sono un esempio subdolo e insospettabilmente diffuso. In questo senso, la storia di Nina, che lotta con coraggio, nonostante le difficoltà, è simbolica e importante nell’affermare il diritto alla giustizia, che deve trovare una rete sociale pronta ad accoglierlo e sostenerlo”.
Il consiglio è di vedere questo film con i propri compagni, con i figli, le figlie. Affinchè sia chiaro e visibile che non esiste nessun signore, nessun padrone, nessun abuso, fisico, sessuale e psicologico che non possa essere denunciato e sconfitto.
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