Gran Torino
Regia: Clint Eastwood; Drammatico/Thriller; USA, 2008.
Interpreti: Clint Eastwood, Cory Hardrict, Geraldine Hughes, Dreama Walkers.
Ore 21 Iris, Canale 22; durata: 116’.
Eastwood torna ad interpretare un ruolo in prima persona quattro anni dopo Million Dollar Baby in un film, da lui anche diretto, crepuscolare, tra i suoi più intensi e fulminanti. Grande efficacia nel ritratto di Walt Kowalski, reduce della guerra in Corea da ormai da lunghi anni in pensione, che vive in solitudine tra i rimorsi e i rancori. Walt conserva come reliquia, in garage, la Ford Gran Torino del ’72, auto che un giovane asiatico, suo vicino di casa, tenta di rubargli. Burbero, diffidente e senza peli sulla lingua, Kowalski, che manifesta astio per i “musi gialli”, metterà poi in gioco tutto se stesso per aiutare il ragazzino a farsi strada nell’ambiente sociale degradato. Tra le scorribande delle pericolose gang, una malattia che si affaccia come incurabile e i parenti di Walt che lo assecondano con sufficienza, attraverso il nuovo personaggio, Clint Eastwood volge uno sguardo sulla solitudine e il degrado del tessuto politico-sociale, dipingendo un reduce sfiduciato, che fa fatica a tirare avanti ed ha ferite nell’animo mai lenite. Come attore, Eastwood tornerà a interpretare altri film, come The mule, dieci anni dopo, allorquando il disagio per un anziano negli USA della disgregazione sociale corrisponderà anche alla mancanza di tutele, in uno sfratto, nella corsa per un lavoro assolutamente non consigliabile. In Gran Torino il razzismo di Kowalski si dissolve in un bisogno di comunicazione-rispecchiamento tra l’anziano e il giovane, che esprime il tentativo di cambiare pagina, di guardarsi negli occhi raccontandosi ciò di cui si ha bisogno. Eastwood attore incanta con i suoi toni burberi, con il grugnito e il disarmante meravigliarsi del suo personaggio nello scoprire un vicinato asiatico che egli finirà presto per appoggiare nell’inevitabile confronto con le differenze. Un film con cui il regista-attore si mette in gioco, ancora una volta, trovando lo stato di grazia che gli permette di evitare, pur tra caratterizzazioni tanto emblematiche, forzature e retorica. E il suo Walt Kowalski resta nella memoria.
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