Per gli amanti dell’horror di qualità, ma soprattutto per gli appassionati di cinema tout court, esce per le Edizioni Falsopiano “Peter Cushing e i mostri dell’inferno” (euro 19,00) libro prezioso e senza precedenti dedicato alla leggenda Peter Cushing, scritto con grande competenza e smalto da Mario Galeotti, un critico che ha regalato all’editoria anche un brillante saggio su Dean Martin e uno su Little Tony. Il libro su Peter Cushing è una boccata di aria fresca per lo stile profondo dell’autore, per la scrittura incalzante che riesce a restituire l’ebbrezza recitativa del grande attore. Sin dalle prime mosse nel mondo del palcoscenico, Cushing riscosse grande successo, prima come assistente poi come attore in produzioni teatrali nel Regno Unito, quindi a Hollywood, dove esordì sul set di James Whale, per La maschera di ferro (1939). In quell’anno uscirono titoli epocali come Via col vento, Ombre rosse, Il mago di Oz, ma fu proprio il regista di Frankentein e L’uomo invisibile ad avere capito che Cushing poteva essere un interprete versatile e camaleontico, in grado di misurarsi con affilatezza tra le ombre dell’immaginario cinematografico, anche se per il momento la finezza di Cushing avrebbe trovato solo ruoli di contorno, come quello in Noi siamo le colonne (1940) assieme a Laurel e Hardy.
Lo scoppio della seconda guerra mondiale lo spinse a tornare in Inghilterra, dove, lavorando alla radio e nuovamente in teatro, fu al fianco di Laurence Olivier per il suo capolavoro, Amleto (1948), in cui interpretò il ruolo di Osric. Si fece notare con il suo volto affilato, con uno stile drammatico asciutto e intenso, grazie a cui divenne presto una star della tv grazie al ruolo di Mr. Darcy in Orgoglio e pregiudizio e le interpretazioni per la BBC come quella per George Orwell 1984 (trasmessa nel 1954) e di Riccardo II d’Inghilterra in Richard of Bordeaux (1955). Il successo televisivo venne poi seguito da quello cinematografico e fu durante la seconda metà degli anni Cinquanta che la piccola casa di produzione Hammer propose a Cushing di realizzare una serie di film horror con regole precise: pellicole che nell’arco di tre anni ridisegnarono il cinema horror attraverso vicende di ambientazione vittoriana. Stile, essenzialità, erotismo, crescendo drammatico nelle molte pellicole che Cushing interpretò grazie al fortunato incontro con il regista Terence Fisher e con il collega Christopher Lee.
Nel suo libro “Peter Cushing e i mostri dell’inferno”, Mario Galeotti si sofferma splendidamente sui volti e la forza drammatica portata da Cushing nel suo lavoro. Grazie a pagine precise e meticolose, viene restituito il talento, la vertigine delle scelte di un principe della recitazione. Cushing è stato il volto di alcuni dei personaggi più emblematici della letteratura inglese, ma giustamente Galeotti sottolinea l’impegno e la consapevolezza di Cushing, capace di essere se stesso in moltissimi ruoli in cui era facile ripetersi. Van Helsing, Doctor Who, Sherlock Holmes, portano lo stile di Cushing tra il cinema e la televisione, dove l’attore è il meticoloso cultore dell’investigazione, oltre le barriere del tempo. Gran parte del fascino che le numerosissime pellicole interpretate da Cushing fanno vivere ancora oggi agli spettatori provengono da quel carattere, da quella statura mitica, che l’attore sapeva cucire addosso ai suoi personaggi.
Egli diventava Sherlock o Doctor Who, ne rifletteva il brivido d’intelligenza che poteva sollevare il destino di un’eroe-antieroe. Figura spesso detentrice di una dirittura morale pronta a combattere con i mostri, appunto, dell’immaginario Hammer, per confrontarsi con gli attori di quella come di altre scuderie. Da Christopher Lee a Vincent Price, i cui personaggi, di volta in volta, venivano sconfitti o trafitti dalle scelte del personaggio portato in vita da Cushing, alfiere della ragione illuminata. Mario Galeotti non dimentica di passare in rassegna e approfondire titoli che sono considerati dei veri e propri cult interpretati dall’attore, da Dracula il vampiro a La furia dei Baskerville a La maschera di Frankenstein e La mummia. In pagine di profonda passione, riviviamo tutti i mostri contro i quali Cushing fu, con il suo stile e la sua consapevolezza drammatica, una nuova speranza. E a proposito di speranza, A new Hope fu anche il titolo del primissimo episodio di Guerre stellari (1977) in cui Cushing venne chiamato a interpretare la figura imperiale di Tarkin, per dare dignità ad un immaginario che avrebbe brillato di fascino grazie alla sua presenza o a quella di Alec Guinnes, interpreti britannici di razza. Solitario, magnetico, fatalmente ambiguo, Peter Cushing viene riscoperto in una lettura affascinante che ne restituisce finalmente la natura di interprete cruciale di una stagione gloriosa del cinema.
Lascia un commento