7 è il numero magico. Ed il sesso è magia, incontro alchemico ed imponderabile, effimero oppure no. Non ci sono i titoli di Tinto Brass, perché il pur bravo regista ha uno sguardo limitato al ludico e declinato solo al maschile. InsideTheShow citerà i film che con onestà e senza censure, in modo magistrale, raccontano il più intimo e coinvolgente degli incontri tra umani. Quel tipo di incontro che pone di fronte al mistero e all’abisso della perdita di controllo e al delirio dei sensi che tanto somiglia allo svenimento e alla morte e, al contempo, al segreto della vita.
Un sesso che oggi, molto più di ieri, sia nel cinema che nella letteratura ha perso la sua valenza liberatoria per essere censurato, edulcorato e patinato in modo voyeuristico- vedi: 50 sfumature di Grigio del 2015 diretto da Sam Taylor-Johnson– o sacrificato a favore della violenza sempre più esplicita ed efferata.
Impossibile dire dove inizia il culto della parola poetica, della parola che tesse storie, che crea la materia e che si mescola alla semplice nudità dei giovani corpi adolescenziali, protagonisti di amori tragici oppure felici. E’ Il fiore delle Mille e Una Notte, di Pier Paolo Pasolini, gran Premio Speciale della Giuria a Cannes nel 1974.
Il giovane Nur ed-Din è alla ricerca dell’amata schiava Zumurrud che gli è stata rapita. La verità non è in un solo sogno, ma in molti sogni, recita l’incipit del libro “Le Mille e Una Notte”, la celebre raccolta di racconti orientali (di origine egiziana, mesopotamica, indiana e persiana), costituita a partire dal X secolo.
La narrazione di Pasolini, nel rispetto della tradizione orientale, si svolge ad incastro e la bella Zumurrud, proprio come Sherazade, dopo una prima notte d’amore col suo padrone-amato, che in qualche modo è stata lei stessa a scegliere, avendone apprezzato la bontà e la bellezza, comincerà a raccontare una storia nella storia.
Nei ribelli, creativi e anche terribili anni 70 di sesso si parlava spesso e volentieri. Nonostante questo l’uscita nel 1972 di Ultimo tango a Parigi di Bernardo Bertolucci creò scandalo e scalpore. Marlon Brando è un americano che vive a Parigi ed è reduce da un trauma doloroso. L’incontro, fortemente erotico, in un appartamento vuoto, con la giovane Maria Schneider – i due non rivelano nulla della propria identità all’altro, neppure il nome – sarà il disperato quanto vano tentativo di lui di rimanere attaccato alla vita. Paradossalmente ancora adesso il film riesce a far palare di sè per una scena di sesso particolarmente spinta, oggetto di leggende ed elucubrazioni. Per chi si chiedesse se si tratta di sesso o di amore, consideri che nel 2002 l’American Film Institute ha inserito Ultimo Tango a Parigi nella lista dei “100 migliori film sentimentali di tutti i tempi”.
Ecco L’Impero dei Sensi è un film del 1967 tratto da un vero fatto di cronaca che ha avuto luogo in Giappone negli anni 30, scritto e diretto da Nagisa Ōshima. Una donna, dopo la morte del suo amante, avvenuta a causa di un atto sessuale estremo tra i due, recide il membro dell’amato e lo porta per tre giorni dentro di sè. Grande successo di pubblico a Cannes, questo film girato con tale veridicità da risultare quasi pornografico, racconta la relazione totalmente dominata dal sesso dei due protagonisti, una cameriera e il suo datore di lavoro. I sensi sono i veri padroni della drammatica storia, ambientata in un Giappone atemporale e feudale su cui incombe una guerra, al punto da decidere delle loro vite.
Durante una calda, caldissima estate, la bionda Kathleen Turner, annoiata moglie di un riccone, incontra l’avvocato William Hurt, amante delle belle donne. Per scrivere Brivido Caldo, il regista si ispira a “La Morte Paga Doppio”, libro noir di James Cain, già visto al cinema grazie a Billy Wilder ne La Fiamma del Peccato. La scena nella quale l’uomo irrompe nell’appartamento di lei, che lo attende palpitante mentre il marito è fuori città, spaccando una vetrata, rende molto bene l’idea della passione violenta che domina i sensi ed ottenebra il cervello. Piacevole thriller impreziosito dalla sensualità all’apice dei protagonisti, nel film di Lawrence Kasdan le donne, predatrici senza cuore, fanno una brutta figura, ma gli uomini fanno una brutta fine.
La polemica antiborghese del regista Louis Malle si manifesta anche nel film Il Danno, del 1992. In un contesto sociale algido, formale ed impeccabile, divampa un’imprevedibile e fatale passione fra un politico inglese (Jeremy Irons) e la fidanzata del figlio (Juliette Binoche). Lei ha già subito un “danno”, reduce da una relazione morbosa col fratello, che adolescente si è tolto la vita per lei e dopo aver riprodotto la stessa situazione scabrosa, resisterà anche a questa ulteriore folle relazione con suicidio finale annesso. La Binoche è perfetta nel ruolo della femme fatale irresistibile, ma è la moglie del suo amante (Miranda Richardson) che vincerà un Bafta come miglior attrice non protagonista.
Una donna mette un annuncio su un giornale: cerca un partner per mettere in pratica una sua fantasia sessuale. Le risponderà Sergi Lòpez e i due, dietro la porta di un albergo ad ore, consumeranno la reciproca passione, iniziando a vedersi con regolarità. Cosa accade dietro quella porta, che resta chiusa per lo spettatore, non è dato sapere. Come in Ultimo Tango a Parigi, i protagonisti di questa insolita storia d’amore non conoscono nulla della vita dell’altro, disciplinati e rigorosi anche nel sesso. Eppure la loro relazione pornografica, come recita il titolo originale “Une Liaison pornographique”, commuove in modo universale parlando dell’incomunicabilità fra uomo e donna. Il regista belga Frederic Fonteynè mette in scena un’opera claustrofobica e teatrale che mostra con pudore sia i corpi che le emozioni, e proprio per questo risulta ancora più struggente, un grido soffocato. Il film è stato presentato in concorso a Venezia, vincendo il Premio per la miglior interpretazione femminile (Nathalie Baye) e il Premio Pasinetti (Sergi Lopez) nel 1999.
Adattamento cinematografico del fumetto francese “Il blu è un colore caldo”, La Vita di Adele racconta una storia d’amore sensuale ed appassionata fra due ragazze. Il film di Abdellatif Kechiche ha avuto molti riconoscimenti (a Cannes, Cesar…) grazie alla fresca spontaneità delle innamorate Léa Seydoux e Adèle Exarchopoulos, ma è stato criticato per le eccessive scene di sesso esplicito, considerate gratuite e lontane dallo spirito originario del fumetto. La scoperta della sessualità delle due liceali va di pari passo con la crescita emotiva e l’accesso alla vita adulta. Emma ha i capelli blu e quel colore eccentrico e ribelle che nel fumetto voleva ricordare la Clementine di Se Mi Lasci Ti Cancello è il simbolo della sua diversità e del suo modo di approcciarsi al mondo. Non sempre compatibile con quello dell’amata Adele.
La carenza di film che parlano di sesso nelle sale cinematografiche nell’ultimo decennio, e al contempo il facile accesso e la diffusione casalinga della pornografia, dovrebbe far molto riflettere sul modo in cui si è evoluto (o involuto) il nostro modo di amare. Il pornografico è sempre più all’insegna del brutale e del sopraffatorio e i film “normali” parlano di amori edulcorati ed incolori. Insomma, il sesso è tornato ad essere una cosa sporca e nascosta ed il sentimento idealizzato e stigmatizzato, come se corpo ed anima non fossero in continua comunicazione ed unione e non formassero un tutt’uno. Chissà che un giorno il sesso, in quello specchio sociale che è il cinema, non torni ad avere il ruolo sublime che gli compete e che libero e selvaggio, come ogni forza della natura, riesca a rendere più liberi e audaci anche i sentimenti.
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