Realizzato a cavallo tra Sogni d’oro (1981) e La messa è finita (1985), Bianca (1984) è il film in cui Moretti recupera il personaggio di Michele Apicella, questa volta un professore di matematica pronto ad arrivare quasi in sogno nell’immaginario del film. Egli raggiunge la sua nuova abitazione di Roma dove l’ambiente e i personaggi si materializzano attraverso la visione in soggettiva che contempla soprattutto coppie in crisi, mentre la prima mattina Michele viene svegliato da Siro Siri, un vicino energico che lo incita a raggiungere il luogo di lavoro. Il suo nuovo incarico è presso l’istituto scolastico Marylin, con il preside pronto a fargli fare una visita introduttiva e presentargli i colleghi, successione di caratteri destinati alla solitudine, con lo sbigottimento di Michele impegnato nel tentativo di adattarsi alle alle regole della scuola, dove, tra una frustrazione e l’altra, è prevista anche la presenza di uno psicoterapeuta a sostegno del corpo insegnante.
Il film di Moretti introduce un elemento di drammaticità modulato sulla presentazione del personaggio, plasmato sulla visione e l’immagine che se ne ha di lui. Michele Apicella riappare come il tramite di un’ulteriore trasformazione del cinema di Moretti, dopo essere stato il ragazzo di una compagnia di teatro sperimentale in Io sono un autarchico (1976), e lo studente ex-sessantottino fuori corso di Ecce bombo (1978). Si può dire che questa volta il discorso autobiografico lasci confluire il disperato moralismo del personaggio in una visione che contempla maggiormente l’aspetto della malattia psicologica, quella patologia coniugata con un sospeso e vaporoso effetto “thriller” nel disegno dell’insegnante, motore attivo della rappresentazione. E’ Michele che guarda dal terrazzo di casa le coppie nei loro momenti di crisi, e impulsivamente agisce, si affretta nel suo goffo e indesiderato tentativo di mediazione. Michele, disperatamente lontano dagli altri e dalla sua generazione, è quella mente ossessiva che osserva dettagli come le scarpe, cogliendo lapsus e disattenzioni nella vita di relazione eppure incapace di frenare le sua parte disturbata. Ritratto di una solitudine che Moretti sa portare in gioco in prima persona interpretando il personaggio del protagonista, Bianca vive dello sdoppiamento invisibile del suo personaggio, di cui non vediamo i gesti delittuosi ma di cui conosciamo l’ansia e il pedinamento e le intrusioni preoccupate nella vita delle coppie. Nel tentativo di allontanare le derive caricaturali e grottesche del cinema italiano con il quale è fortemente in polemica, Moretti più che in altri film sembra impegnato a nascondere e quindi in realtà a lasciar emergere con toni inaspettati la tragicità che si cela dietro il volto comico. In quella espressione di Michele che guarda e poi scompare sino all’ultima confessione nella stanza del commissario, passa tutta la disarmante estraneità del personaggio, la cui vita è lo svolgimento di un’ossessione, lo spiare la vita di amici e vicini che appaiono schedati in un suo archivio personale. Nella scelta di un professore di matematica per il suo ruolo, Moretti plasma una figura capace di dare sempre un ordine alle cose e alle relazioni, ma non anche essa stessa matura e capace di tollerare il cambiamento. Lo vediamo infatti perennemente disorientato, pronto ad interpretare la vita degli amici attraverso i suoi schemi. E allo stesso modo egli si atteggia, scrupoloso e fatalista, nella relazione con Bianca (Laura Morante), una nuova collega che lo colpisce subito per il suo modo di camminare. Intanto nel suo palazzo due coppie di amici vengono trovate senza vita, mentre sarà proprio Bianca a fornirgli un alibi temporaneo.
Moretti ci conduce a fare i conti con uno dei personaggi più scomodi e inquietanti della sua filmografia, di cui scopriamo manie e ossessioni. Egli rimette in gioco gli elementi del suo cinema, dalle scarpe ai dolci, per riportarsi attorno a quel mondo scolastico che pare un luogo al contempo astratto e dominato dalla ricerca di perfezione: tra ideali di purezza e incontaminazione, sfilano con felliniana indulgenza i simboli di Dino Ferrari o la Juventus di Omar Sivori, mentre nel salone svetta l’immagine di Mick Jagger con la maglia della nazionale calcistica. La visione che si ha di questa scuola non appare meno alterata di quella abituale sul mondo propria di Michele Apicella, con gli studenti pronti a mettere in crisi il professore di matematica evitando quel dialogo che persino lui, manifestando un tentativo di apertura rispetto alla sua visione teoretica, cercava sin da subito con loro.
Come sarà per La messa e finita, il protagonista cerca di intervenire nella vita degli altri, ma il suo sguardo è quello di un individuo che non sa comprendere la realtà delle situazioni, la sua dimensione vera, perché proietta continuamente i suoi schemi. In futuro, un personaggio di Moretti farà dire alla sorella regista quella frase che apparirà come un monito preciso di una filmografia delle trasformazioni esistenziali: “Margherita, rompi un tuo schema” (il film è Mia madre, la protagonista è Margherita Buy). Nel Michele Apicella di Bianca c’è proprio tutta la tragicità di quel messaggio. Michele non riesce infatti a rompere i suoi schemi perché ogni minaccia è sentita come un’intollerabile intrusione dentro la sua visione comunque disperata. Finisce per seguire anche Bianca e coglie il momento in cui lei sta lasciando il suo compagno che però egli travisa completamente: Michele crede anzi di vedere un momento di felicità. La stessa felicità che egli si illude di regalare agli altri invitandoli a permanere in relazioni ormai finite, perché per lui la fine di una relazione è inaccettabile, una voragine di dolore che coincide con quella solitudine che necessita di un enorme barattolo di nutella. Il mondo che il protagonista vorrebbe perfetto si celebra nei toni comici e amari, tra due sequenze che ribadiscono con stile e clamorosa eloquenza divertita la solitudine del personaggio: quella che vede Michele Apicella leggere un libro di Proust da solo nel lago di Villa Borghese e quella della spiaggia in cui il protagonista, circondato da coppie, si getta sull’unica ragazza sola al suono della canzone Scalo a grado di Franco Battiato. In mezzo c’è tutta la bellezza luminosa di un film come Bianca, non un modello di racconto secondo alcuni, sicuramente un film rivelativo nella poetica di un autore che continuerà a plasmare sulla sua figura d’interprete le inflessioni di quel mondo di solitudini e ideali lancinanti che ripercorriamo con i suoi film. Come una Recherche, appunto.
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