Il cacciatore
Regia: Michael Cimino; Guerra/Drammatico; Usa, 1978.
Interpreti: Robert De Niro, Christopher Walken, John Savage, Meryl Streep, John Cazale.
Ore 21,00 Iris, Canale 22; durata: 183′.
Il cacciatore impone definitivamente lo sguardo degli Stati Uniti sulla guerra in Vietnam anticipando di un anno il clamoroso Apocalypse now: due viaggi dello spirito in cui il film di Cimino si riconosce come quello di persone riprese in primo piano. Opera tumultuosa, fisica ed impietosa come la realtà, dolente e umanissima, Il cacciatore si anima dell’apporto di un set affiatato che Cimino conduce con l’intento di restituire il respiro fastasmatico delle emozioni vissute nel villaggio che accoglie il reduce Michael Bronski (Robert De Niro). Un mélange attoriale per riflettere tratti di vita di una comunità ucraina negli States, a sostegno di un’idea di cinema grandiosamente intima. Il cacciatore istituisce subito un legame di corrispondenza tra le immagini di quell’inferno in terra che è il lavoro nell’acciaieria degli amici operai, e le sconcertanti riprese in Vietnam che vedrà coinvolti alcuni di loro, quest’ultime il corpo centrale del racconto ma anche la parte temporalmente più breve. La distanza di Cimino dal cosiddetto cinema degli eroi è chiaramente espressa nella prima sequenza della caccia che vede Stan (il compianto John Cazale, qui all’ultimo film) privo dell’abituale attrezzatura. Michael nega la sua disponibilità a dare all’amico gli stivali che gli mancano e ricorda agli altri come Stan vada sempre in giro “con quella fortuitissima pistola, neanche fosse John Wayne”. L’era dei giustizieri, ci ha insegnato Taxi driver (1976), è irrimediabilmente compromessa, e Robert De Niro, interprete sia del film di Scorsese che di quello di Cimino, si rifà direttamente al personaggio di Travis Bickle quando, dopo avere ritrovato Nick a Saigon seduto al tavolo della roulette russa, mentre si punta la pistola alla tempia fissa negli occhi l’amico e gli domanda: “E’ questo che vuoi?”. Se in Taxi Driver il personaggio scontava la sua solitudine rivolgendosi allo specchio, ne Il cacciatore Michael Bronski si confronta in modo non meno fantasmatico con il suo Doppio Nick. Questi (uno straordinario Christopher Walken, vincitore dell’Oscar quale miglior attore non protagonista per il suo ruolo) è certamente il doppio di Michael, e a un certo punto la vita di Michael viene a dipendere completamente dalla salvezza del compagno fraterno rimasto vittima a Saigon del mondo delle scommesse. Il viaggio verso l’abisso come metafora dello smarrimento dell’anima, l’elegia della perdita, accompagnano lo spettatore in un’esperienza che la fotografia di Vilmos Zsigmond plasma di toni mimetici e partecipativi. La continua situazione di precarietà emotiva dei personaggi, la dissoluzione di qualsiasi visione manichea, la ri-discussione dell’epica di guerra e del senso etico che venga a considerare come legittimo un conflitto bellico purché “onesto” e “pulito”, sono gli esiti di un episodio davvero significativo nella riproblematizzazione del cinema statunitense. Cimino e il suo film guadagnano cinque Oscar, notorietà e grande successo. Il regista, all’apice della fama, ne otterrà presto un’altra, quella per essere il regista de I cancelli del cielo, capolavoro vituperato che fu un clamoroso flop commerciale alla sua uscita e divenne il capro espiatorio per mettere il bastone tra le ruote a un’estetica fenomenale. De I cancelli del cielo, e di Michael Cimino, ci racconta uno dei massimi esperti di questo importante regista: Giampiero Frasca, autore dell’eccellente libro “Il cinema di Michael Cimino” edito da Gremese. Una lettura consigliata per conoscere meglio i sette lungometraggi di un regista che ha lasciato il segno nella storia del cinema.
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