Disponibile su RaiPlay Il venditore di medicine, un film del 2013 diretto da Antonio Morabito. Il film è stato presentato al Festival internazionale di Roma del 2013. Distribuito da Istituto Luce Cinecittà, con la sceneggiatura di Antonio Morabito, Michele Pellegrini e Amedeo Pagani, la fotografia di Duccio Cimatti, il montaggio di Francesca Bracci, le musiche di Andrea Guerra, la scenografia di Isabella Angelini e i costumi di Sabrina Beretta, Il venditore di medicine è interpretato da Claudio Santamaria, Isabella Ferrari, Marco Travaglio, Evita Ciri, Roberto De Francesco, Giorgio Gobbi, Alessia Barela.
Trama
Bruno (Claudio Santamaria) è arrivato alle porte dei quarant’anni e lavora come informatore medico in un’azienda che sta attraversando un periodo di crisi. Di fronte alla previsione di alcuni tagli al personale, ogni venditore di medicine viene tenuto sotto stretta osservazione da un rigido capo area (Isabella Ferrari) per decidere chi di loro continuerà a conservare il posto di lavoro e chi no. Con una famiglia e una posizione da mantenere, Bruno non esita ad agire in maniera disonesta e tradire la fiducia di chi lo circonda, ricorrendo all’inganno e alla corruzione. L’incontro con un vecchio amico, ridotto in pessime condizioni per aver fatto volontariamente da cavia ad alcuni esperimenti farmaceutici, gli darà però la possibilità di riscattarsi.
Antonio Morabito, insieme al produttore e sceneggiatore Amedeo Pagani, con non poco coraggio punta l’occhio della macchina da presa su una delle zone più oscure delle dinamiche economiche correnti, nella fattispecie quella del comparaggio, ossia il sistematico tentativo di persuasione che gli informatori farmaceutici mettono in atto presso la classe medica per far sì che i prodotti da essi promossi possano trovare la più ampia diffusione, finanche arrivando al paradosso di farli somministrare senza che ce ne sia un reale bisogno e dunque a tutto svantaggio del singolo paziente e del servizio sanitario nazionale nel suo complesso, che si ritrova a dover sostenere costi totalmente ingiustificati, essendo la salute, in ultima analisi, il bene supremo che dev’essere salvaguardato.
Il film entra subito nel vivo della questione, penetrando all’interno del settore vendite di una fantasmatica industria farmaceutica, la Zafer, mostrando il cinico metodo di accaparramento dei medici, denominati ‘regine’, attraverso regali distribuiti con una logica economica ferrea: ad ogni ‘dono’ (computers, tablet, cellulari e viaggi per convegni in paesi esotici) elargito deve corrispondere un guadagno equivalente a undici volte il prezzo sostenuto, pena il fallimento della strategia finale dei proventi. Bruno (Claudio Santamaria) completamente succubo di questa modalità, cui non oppone alcuna critica, neanche sul piano personale, non si risparmia e continua, indifferente, a circuire i medici cui propone i nuovi farmaci, trovando nella maggior parte dei casi, totale complicità.
Eppure, nonostante il suo impegno, dato il calo dei profitti dell’azienda, rischia, come un suo collega che per tale motivo si è suicidato, il licenziamento. Per evitare questo epilogo, chiede alla sua capo area (Isabella Ferrari) di affidargli ‘uno squalo’, ovvero un grosso cliente, in questo caso il primario del reparto di Oncologia di un ospedale (interpretato da un credibilissimo Marco Travaglio), per tentare di far adottare un farmaco chemioterapico dall’elevato costo. Alla vicenda lavorativa si aggiunge quella privata, e Bruno si trova a dover fare i conti con la compagna (la brava Evita Ciri) che, ormai trentacinquenne, vorrebbe un figlio. Contrario a questo desiderio della partner, comincia a somministrarle, di nascosto, delle pillole anticoncezionali, provocandole un danno grave alla salute.
Tutto in questo bel film, duro e coinvolgente, è un atto di accusa nei confronti di una degenerazione etica che, specialmente nel comparto farmaceutico, ha prodotto un imbarbarimento che ormai pare non essere più riformabile. Il film, come prevedibile, ha ricevuto in un primo momento le critiche degli addetti ai lavori, che ne hanno ridimensionato la portata, individuando solo in poche ‘mele marce’ l’immoralità denunciata. Successivamente si è passati a una minimizzazione dell’accusa, contro battendo che sì, è vero, si sono verificate tali dinamiche, ma solo in passato ma ormai, secondo gli interessati, è intervenuto un drastico cambiamento.
Amedeo Pagani, tra l’altro, ha raccontato la genesi del film e tutte le rappresaglie subite dopo l’uscita. Un uomo coraggioso che non ha esitato a investire risorse su un ‘cinema civile’ che ancora oggi possa ridestare un pubblico ormai fatalmente assuefatto a tutte le nefaste dinamiche di un ‘discorso’ capitalista in cui la massimizzazione del profitto è divenuta l’incontestato mantra recitato senza sosta dagli alienati sgherri del nuovo ordine. Un plauso, dunque, va alla sua audacia e coerenza.
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