“La bestia Umana”, il romanzo di Émile Zola pubblicato nel 1890, il diciassettesimo del ciclo de I Rougon-Macquart, aveva una trama articolata, con personaggi intimamente connessi l’uno all’altro, talvolta dal sangue, altre volte dalle – malevole – azioni.
Jean Renoir fa suo questo fascinoso plot di passioni, tare genetiche, gelosie e delitti e crea uno dei capolavori assoluti del cinema, facendo naufragare il realismo e il naturalismo di Zola verso un senso di ineluttabile romanticismo tragico e poetico. Il naturalismo espresso dallo scrittore fa parte di una corrente letteraria nata in Francia nella seconda metà dell’Ottocento come applicazione del pensiero positivista che si propone di descrivere la realtà psicologica e sociale con gli stessi metodi usati dalla scienza.
Renoir con L’Angelo del Male, uscito nel 1938, descrive un contesto sociale molto realistico e non privo di crudezze, ma lo trascende intessendo un’autentica tragedia greca – la colpa precede la punizione, che si trasferisce da una generazione all’altra, in un lento e inesorabile cammino – che parla del destino ultimo dell’uomo e della sua impossibilità a sottrarvisi. Soltanto l’amore illumina la cupa oscurità delle vite umane, seppur brevemente.
Roubaud (Fernand Ledoux) è il vicecapo della stazione ferroviaria di Le Havre, e ha una moglie ben più giovane di lui e molto bella, Séverine, interpretata da Simone Simon. La prima volta che la ragazza appare, stringe tra le braccia un gattino bianco, che la simboleggia in pieno. Dolce, innocente, felina, per istinto di sopravvivenza bugiarda e fatale, Severine è stata crescita, orfana, dal potente e anziano Grandmorin, orco predatore di adolescenti, che ne aveva fatto la sua amante. Quando il marito, già gelosissimo, lo scopre, la picchia e la maltratta, costringendola a divenire sua complice nell’omicidio premeditato del vecchio.
Ed ecco che entra in scena il macchinista Jacques Lantier, un superbo, dolente e trasognato Jean Gabin, unico testimone oculare del delitto, il quale, incantato da Severine, decide di non rivelare nulla alla polizia ed inizia una relazione con la donna. Per lei si tratta del primo vero amore, dopo gli abusi subiti in adolescenza e un marito brutale, per lui è lo stesso, poichè Lantier nasconde un segreto. Figlio di generazione di alcolisti, paga il prezzo di quegli eccessi con una malattia mentale che lo spinge a desiderare di uccidere le donne. Come un vero lupo mannaro, consapevole della propria maledizione, si illude di potervi sfuggire grazie a Severine, con la quale sogna un amore semplice e pulito. Al contempo però solo l’eliminazione del marito di lei, Roubaud, uomo meschino e dedito al gioco, potrebbe permettere loro di vivere insieme.
In mezzo a questa vicenda intricata ricca di personaggi secondari – molti presenti nel libro vengono semplificati o tagliati dal regista – si staglia e sfreccia la “Lison”, la locomotiva guidata e alimentata da Lantier, un’autentica belva gigantesca e spietata dall’enorme potenziale distruttivo, ricolma di fuoco, che divora la strada. Lui sa come guidarla, come calmarla, le ha dato il nome di una donna, ma si tratta pur sempre di un mostro. Salirvi sopra significa andare in una direzione a tutta velocità, e la direzione è quella del destino.
La vita dei protagonisti de L’Angelo del Male è una macchina infernale sulla quale sono stati lanciati loro malgrado, fatta di esperienze trascorse, torti subiti, lutti, colpe dei genitori, tutte cose dalle quali non si può prescindere, non ci si può mai del tutto liberare e che ci sospingono verso l’inevitabile (umano, sociale, tragico).
Nel film, il macchinista Lantier decide di scendere, nel più drammatico dei modi. Nel libro invece accade che muoia per una fatalità, un destino tragico che se lo riprende e lo inghiotte come aveva fatto per i suoi avi. Jean Renoir è più pietoso e gli permette di poter scegliere, se non come vivere, almeno come morire.
Il romanzo di Zola nel 1954 sarà portato, liberamente, sullo schermo da Fritz Lang, mantenendo in italiano il titolo originale: La Bestia Umana.
Ma L’angelo del male di Renoir resta una notte senza luna, un film che possiede un fascino cupo ed assoluto, nel quale ogni personaggio è prigioniero di se stesso, del proprio ruolo, grazie alle interpretazioni strabilianti di Simone Simone – che sarà pochi anni dopo la donna pantera in un altro capolavoro: Cat People di Jacques Tourneur – Jean Gabin , del quale il regista era così orgoglioso che avrebbe voluto mostrare il film a Zola, e Fernand Ledoux, il marito assassino e al contempo onesto, brutale, sgradevole, eppure profondamente umano nei suoi errori. Senza dimenticare il fuochista Pecqueux (Julien Carette), amico di Lantier, che tutto sembra sapere della vita e delle donne.
Un valzer popolare accompagna uno dei momenti più drammatici del film, quello che pone fine alla vita della dolce Severine, mentre altrove, nello stesso istante, in una sala da ballo, una musica intona, compassionevole:
«Il piccolo cuore di Ninon
è così piccolo
è così gentile
è così fragile
è leggero come una farfalla
il piccolo cuore di Ninon!
È piccolo, piccolo,
se poverino
talvolta è civettuolo
e poco docile
non è colpa sua, no!
Piccolo cuore, piccolo cuore di Ninon.»
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