Disponibile su RaiPlay Riso amaro, un film del 1949 diretto da Giuseppe De Santis, con Silvana Mangano, Vittorio Gassman, Raf Vallone, Checco Rissone, Doris Dowling, Nico Pepe. Fu presentato in concorso al 3º Festival di Cannes. Ha ricevuto una candidatura ai Premi Oscar del 1951 per il miglior soggetto. È stato selezionato tra i 100 film italiani da salvare. L’idea del film venne a Giuseppe De Santis nel 1947 quando, tornando da Parigi dove aveva presentato Caccia tragica, si trovò nella stazione di Torino in attesa della coincidenza per Roma. Cominciò a sentire dei canti e scoprì che c’erano delle mondine che tornavano dalla risaia, De Santis ne rimase affascinato. De Santis era alla ricerca di una Rita Hayworth italiana, Silvana Mangano si presentò ad un’audizione con un trucco e un abbigliamento eccessivi, tutto l’opposto di quello che il regista aveva in mente per la protagonista, ruolo per il quale era ancora indeciso su Lucia Bosè. Un giorno incontrò casualmente la Mangano per le vie di Roma, la vide vestita in un modo modesto, senza trucco e con i capelli bagnati dalla pioggia, rimanendo a parlarci per circa mezz’ora. In seguito la convocò, le fece fare un provino e venne scritturata; De Santis riuscì a fatica a convincere la Lux Film e Dino De Laurentiis che invece volevano un’attrice più affermata. Per la realizzazione del film, gli autori si rivolsero al direttore dell’Unità che presentò loro Raf Vallone, allora giovane giornalista, e decisero di farlo recitare. Il film costò 70 milioni di lire. Le riprese si svolsero nelle campagne vercellesi, più precisamente nella Cascina Veneria (comune di Lignana) e nella Tenuta Selve (Salasco). Molti esterni sono girati presso la Cascina Selve di Salasco, tra cui la parte iniziale con l’arrivo delle mondine sugli autocarri. Riso amaro, distribuito nel circuito cinematografico il 21 settembre 1949, fu il primo film neorealista ad avere successo di pubblico nelle sale italiane. Fu un grande successo anche in Francia con 3.118.642 spettatori.
Trama
Francesca è una cameriera d’albergo e non una ladra. Su istigazione del fidanzato, Walter, ruba però una collana e scappa. Sul treno si mescola alle mondine e la sera proprio una di queste, Silvana (Silvana Mangano), gliela ruba. A quel punto arriva Walter che capisce subito come andranno a finire le cose e seduce Silvana. Ma le cose si complicheranno molto.
Da più parti si è spesso rimproverato a Riso amaro, capolavoro di Giuseppe De Santis del 1949, di essere un film ‘inquinato’ dal compromesso tra l’esigenza di proseguire nel solco dell’impegno tipico del cinema neorealista italiano, sempre attento ai mali del tempo e della società che metteva in scena, e la volontà di fornire una dimensione spettacolare per esercitare una maggiore presa sul pubblico, con la conseguenza, a detta di qualcuno, di pervenire a un risultato complessivo incerto, contraddittorio, se non vacuo.
Questa rigidità di giudizio pare generata dall’incapacità di pensare alla fisiologica necessità di un’evoluzione delle forme, che avrebbe senz’altro giovato allo sviluppo del Neorealismo e alla possibilità di pensare un cinema che pur trattando gravi questioni sociali, da sottoporre all’attenzione generale, fosse in grado di svincolarsi da una certa retorica dei contenuti e, dunque, anche dello stile. Giuseppe De Santis, ispirandosi in parte al cinema hollywoodiano e in parte a quello sovietico, voleva realizzare un film sulla condizione lavorativa delle mondine che fosse allo stesso tempo impegnato e popolare, realista e spettacolare. D’altronde la vita, osservata nella sua interezza, se non la si schiaccia sull’aspetto che si desidera far emergere con maggior risalto, è fatta di molteplici sfaccettature, momenti, parentesi e divagazioni. Insomma, anche all’interno di una quadro per lo più drammatico sono presenti naturali sospensioni che, in un certo senso, interrompono l’azione, un po’ come le conversazioni frivole delle mondine mentre si trovano nei dormitori; o come le splendide danze di Silvana Meliga (l’indimenticabile Silva Mangano), che spezzano magnificamente l’atmosfera oppressiva delle risaie, sulle note di una musichetta jazz proveniente da un giradischi.
Accanto alle problematiche urgenti della situazione di tante giovani lavoratrici, costrette a una fatica estrema per un salario appena sufficiente al sostentamento, si giustappongono altre suggestioni, sensazioni: brandelli di vita che fanno da controcanto alla durezza di una realtà da cui si cercava in qualche modo, e sacrosantamente, di evadere. Se è vero che interviene una divisione piuttosto manichea dei caratteri dei personaggi che attraversano il film, con le coppie Gassman-Mangano e Vallone- Dowling che si fronteggiano fino al funesto epilogo, ciò non toglie che le questioni che si volevano denunciare riescono a trovare una connotazione chiara, netta, senza perdere la loro urgente drammaticità.
Il lirismo dei dolly, che salgono per mostrare dall’alto le mondine, le carrellate sulle donne inchinate nelle risaie, la sequenza del temporale, la suggestiva figura di Vittorio Gassman, sdraiato su dei grossi cumuli di riso, nonché il duello ambientato in un magazzino colmo di salumi appesi: il problema della miseria, dell’esser disposti a tutto, finanche a lavorare alla stregua di animali pur di sopravvivere, non perde la propria estrema visibilità, la sua preponderanza, tutta la sua tragicità. Solo uno spettatore miope poteva, e potrebbe, non cogliere l’essenzialità di quanto costituisce l’anima del film realizzato da De Santis, che non solo penetrò efficacemente nel mondo che voleva raccontare, ma riuscì anche assai bene a restituire il volto del territorio in cui l’azione prende corpo.
Il trattamento musicale, anch’esso molto innovativo e ricco, si dipana su tre livelli: con le melodie struggenti composte dal grande Goffredo Petrassi si pone efficacemente l’accento sul dramma di un’Italia ancora lontana dall’opulenza del successivo e imponente sviluppo economico; con le note sbarazzine del maestro Armando Trovajoli si delineano le pause della narrazione principale; infine, con i canti popolari delle mondine, per le quali fu decisivo il contributo di Corrado Alvaro alla sceneggiatura, viene restituita la cultura dell’epoca e del luogo. Oltre a quello di De Santis e Alvaro, sostanziale fu l’apporto del compianto Carlo Lizzani in fase di scrittura. La splendida fotografia fu curata da Otello Martelli, che poi divenne l’operatore di tutto il primo cinema di Federico Fellini.
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