Salvate il soldato Ryan
Regia: Steven Spielberg; Guerra/Azione; USA, 1998
Interpreti: Tom Hanks, Matt Damon, Tom Sizemore, Edward Burns, Barry Pepper
Ore 21,00 IRIS, Canale 22; durata: 167’
In Salvate il soldato Ryan, realismo e disinganno si inseguono per costruire un crudo puzzle visivo, raccontando la morte con inquietante impietosità. Sembra quasi che il regista ci voglia restituire la ricetta del fare cinema con uno sguardo al contempo classico e moderno. Quando, ad esempio, il film si addentra tra i villaggi devastati della Normandia, la sequenza, che sembra una situazione del cecchino pronto a sparare sul corpo immobile del soldato americano come in Full Metal Jacket, giunge impreveduta e straniante, a ricordarci l’assurdità di una situazione che “quel film”, aveva compreso a pieno. Ma se abbondano i riferimenti al cinema più vicino alla nostra epoca (mentre l’estrema mobilità della macchina da presa, ad esempio, era già presente, seppure con esiti diversi, in Mac Arthur, il generale ribelle, 1977), il clima di confusione lacerante e disfatta dell’identità può far pensare a Prima linea (1956) di Robert Aldrich, film bellico del dopoguerra in cui la brutalità del conflitto accompagna l’incompetenza e la corruzione dei comandi americani. Anche a Spielberg interessa affrontare il territorio delle contraddizioni, e domanda allo spettatore la stessa cosa che sembra aver domandato a se stesso: c’è un senso nella missione di rischiare otto vite per salvarne una? Cosa distingue il soldato Ryan dai suo commilitoni perché si debba morire per lui? Era qualcosa che si chiedevano anche i soldati di Bastogne (1949) di William Wellman, dove il sermone del cappellano dava una giustificazione “inesorabile” agli eventi (“Era necessario questo viaggio? A migliaia sono morti per essersi posti questa domanda, quindi non c’è altro da fare che combattere”). Spielberg ripercorre i momenti della Storia coniugando momenti esemplari e punti di vista dei singoli. All’interno di situazioni ben più vaste in cui regnano la disfatta e il caos, i suoi racconti a tratti edificanti vanno alla ricerca di momenti apparentemente insensati, dove emergono gli sforzi e le decisioni di alcuni individui che portano un gruppo di persone verso un’ideale retta via. In Salvate il soldato Ryan il compito di sacrificare una squadra di soggetti scelti per salvare la vita di un soldato semplice contempla e riassume tutto il significato “messianico” dell’avvento dei liberatori nell’Europa di Hitler. E per concludere, il Miller organizza il piano suicida chiamando il villaggio di Ranelle la sua “Alamo”: in questo teatro di paura e annullamento, il riferimento al western rappresenta il modello di una cultura che ripropone al mondo liberato dai nazisti (ovvero, agli spettatori di oggi) i suoi archetipi e le ombre dei suoi fantasmi.
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