Disponibile su RaiPlay Il terrorista, un film del 1963 diretto da Gianfranco De Bosio ed interpretato, fra gli altri, da Gian Maria Volonté, Philippe Leroy e Anouk Aimée. Il regista si rifà alla sua esperienza nella Resistenza veneta, nella quale ha partecipato a Padova nella squadra di Otello Pighin, nome di battaglia “Renato”, medaglia d’oro al valor militare. Il film metteva in luce, per la prima volta nella cinematografia sulla Resistenza italiana, i contrasti tra la linea terroristica dei GAP e quella “attendista” dei partiti moderati del CLN e incontrò per questo delle difficoltà politiche nella distribuzione. Il terrorista vinse il premio della critica SNGCI alla Mostra del Cinema di Venezia del 1963.
Trama
Nel 1943 a Venezia, l’ingegnere Renato Braschi costituisce un GAP; ad aiutarlo c’è anche un prete. Il CLN lo invita alla prudenza, ma egli insiste costringendo anche i componenti del CLN a fuggire. La squadra viene disarticolata con l’arresto di uno dei componenti ed il ritiro degli altri.
Gianfranco De Bosio (1924), che è innanzitutto e per lo più un valente regista teatrale, nel 1963 esordì nel cinema con un lungometraggio in cui riferiva, con una precisione che probabilmente non è stata più rintracciabile in alcun film che si è confrontato negli anni con l’argomento, la sua esperienza nella resistenza veneta, alla quale partecipò a Padova nella squadra di Otello Pighin, col nome di battaglia “Renato”, ricevendo una medaglia d’oro al valor militare.
Il Terrorista, con il soggetto di Diego Perilli e Gabriele De Laurentis e la sceneggiatura dello stesso De Bosio e Luigi Squarzina (anch’egli notevole uomo di teatro), colpisce per la rigorosità con cui testimonia della febbrile attività del CNL (Comitato Nazionale di Liberazione) veneto, che nell’inverno del 1943, dopo il fatidico 8 Settembre, pianificava le attività politiche e militari atte a contrastare l’occupazione nazista a Venezia, in previsione anche dell’intervento futuro degli alleati, che all’epoca erano ancora bloccati in Campania. Il film comincia con dei mirabili carrelli che ci mostrano dei fedeli in chiesa durante la liturgia e successivamente si passa subito nel vivo dell’azione, dato che nella canonica il parroco, che collabora con la resistenza, fornisce aiuto logistico per i preparativi di un importante attentato, ordito dall’”ingegnere” (Gian Maria Volontè) ai danni di un comandante tedesco che aveva fatto fucilare parecchi dissidenti, oltre a ordinare il rastrellamento di molti ebrei nella città.
Ciò che più impressiona è la ricchezza dei dialoghi all’interno delle riunioni del CNL, che restituiscono con esattezza la situazione politica di un momento storico attraversato da una grande confusione e che richiedeva, comunque, l’assunzione di responsabilità in merito a importanti decisioni da prendere sulle azioni da promuovere, il tutto aggravato da uno stato di clandestinità che comportava la massima segretezza. Da segnalare, inoltre, un altro decisivo tassello del film, laddove si stigmatizza l’utilizzo improprio del termine ‘terrorista’, evidenziando quello slittamento semantico utilizzato da chi aveva (e ha) interesse a far apparire un’azione militare o una legittima rappresaglia (così era da ritenersi l’attentato commesso dall’ingegnere come risposta alle violenze indiscriminate compiute dall’esercito tedesco) un atto esecrabile non sostenuto da ragioni che ne legittimino gli scopi, e, dunque, completamente fuorilegge e da condannare. L’ingegnere Renato Braschi non organizzava attentati in senso stretto, ma vere e proprie operazioni finalizzate a contrastare la presenza del nemico sul territorio di Venezia, nell’interesse della nazione, per far cessare un’insopportabile occupazione, in attesa di gettare le nuove fondamenta per un futuro libero dall’ombra del fascismo.
Nel film di De Bosio non c’è spazio per la retorica, per la spettacolarizzazione o per un generico senso di dramma poetico con cui ammantare la narrazione di quelle vicende; si resta ostinatamente in situazione, soffermandosi anche, per onore della verità, su quei momenti di stallo che inevitabilmente seguirono le gesta più ardimentose; non c’è lieto fine, tutt’altro, Il terrorista termina davvero male, con l’arresto di tutti i componenti del CNL, di coloro che parteciparono all’attentato con cui si apre il film e, infine, con l’uccisione dello stesso Braschi, che non riesce ad arrivare all’imbarcazione che lo doveva condurre verso ‘terra’ per proseguire altrove la sua azione.
La serietà, la rigorosità, l’antispettacolarità de Il terrorista rendono a tutt’oggi il film uno dei documenti più significativi in merito alla lotta che la resistenza mise in campo, in attesa di quell’intervento degli alleati che, nell’inverno del 43’, si sarebbe fatto attendere ancora per molto tempo. Un film asciutto, forte, disincantato, che per la ricchezza della sua inestimabile testimonianza richiederebbe oggi la massima rivisitazione, visto l’oblio in cui da parecchi anni è precipitato. Da segnalare la presenza nel cast, oltre a quella di Gian Maria Volontè, di Philippe Leroy e Anouk Aimè (cameo anche per Raffaella Carrà).
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