“Io sono l’orgoglio, l’idolo, il fuoco della nostra isola amatissima”… così si era rivolto il comico Franco Franchi ai suoi cari conterranei di Sicilia: la Sicilia, terra incantevole e impervia, dove la gente ha sempre imparato a soffrire con fierezza perché parte di quel Sud che, come aveva detto l’altro illustre siciliano Ciccio Ingrassia, “è qualcosa che ti indurisce, ti fa venire i calli alle mani, ti insegna a sopportare, a essere umile”.
Non solo amore per la propria terra, però. La sicilianità di Franco Franchi e Ciccio Ingrassia era alla base stessa del rapporto professionale e umano, a volte controverso, che intercorreva tra i due attori palermitani, che nonostante litigi e dispetti non si sono mai realmente allontanati o traditi: potevano stare mesi senza rivolgersi la parola e poi, come se nulla fosse mai accaduto, arrivava la telefonata e sembrava che si fossero lasciati solo un minuto prima. Questo era dovuto con ogni probabilità proprio ai fondamenti essenziali di quel carattere siciliano che, pur nella loro evidente diversità di temperamento, accomunava Franchi e Ingrassia: “si muore per amicizia, per una parola data”.
Oggi che la coppia di comici siciliani non c’è più, Palermo si prepara a dedicar loro un museo che avrà sede al primo piano di Palazzo Tarallo, in via delle Pergole, nel cuore del quartiere Ballarò: il Museo delle Maschere di Palermo. Ritardi, intoppi burocratici e problemi organizzativi hanno notevolmente allungato i tempi, vanificando ogni attendibile previsione sull’apertura del museo. Si pensava potesse essere pronto entro la fine del 2019, ma così non è stato. Gli eredi, intanto, stanno selezionando il prezioso materiale che verrà messo in mostra: foto, locandine, manifesti, premi e altri memorabilia che saranno affiancati da uno spazio multimediale. Siamo speranzosi e confidiamo nel buon operato di Giuseppe Li Causi, nativo di Monreale, uno dei promotori di questa bella iniziativa e memoria storica della vita e della carriera di Franco Franchi e Ciccio Ingrassia.
Federico Fellini aveva detto che c’è più Italia in un film con Franco e Ciccio che non in tutta la classica commedia all’italiana. Parole di encomio nei loro confronti erano giunte anche da personaggi come Carmelo Bene e Dario Fo. Robert De Niro espresse sincera ammirazione per Franco Franchi e definì il suo Ultimo tango a Zagarol (regia di Nando Cicero, 1973) un film straordinario. Ma la critica li ha sempre massacrati, salvo poi giocare la solita carta delle riabilitazioni postume. E’ vero, molte delle pellicole interpretate dalla coppia (solo tra il 1964 e il 1966 arrivarono a girare la cifra sorprendente di 42 film) erano mediocri, ripetitive, realizzate frettolosamente: ma non si abbassavano mai ai livelli delle banalità spesso volgari di tanti film comici contemporanei. Basso, fisico atletico, tontolone, dalla mimica sorprendentemente esasperata, il personaggio di Franchi; alto, emaciato, legnoso, con una parvenza fasulla di razionalità, quello di Ingrassia. Erano perfettamente complementari, come ogni grande coppia del cinema che si rispetti, e non è un caso che siano stati chiamati anche ad interpretare Don Chisciotte e Sancho Panza nell’omonimo film di Gianni Grimaldi del 1968 e il Gatto e la Volpe nel capolavoro di Luigi Comencini Le avventure di Pinocchio (1972). Segnati entrambi dalla fame, dalle privazioni e dalla dura gavetta, Franco Franchi, nome d’arte di Francesco Benenato (Palermo 1928 – Roma 1992), e Francesco “Ciccio” Ingrassia (Palermo 1922 – Roma 2003) si incontrarono in un bar degli artisti a Palermo. Il debutto teatrale in coppia ebbe luogo nel 1954 in un teatro di Castelvetrano. Nel 1960 apparirono per la prima volta sul grande schermo con due ruoli secondari nel film di Mario Mattoli Appuntamento a Ischia, al fianco di Domenico Modugno. Il loro primo film da protagonisti fu L’onorata società di Riccardo Pazzaglia (1961), con Vittorio De Sica, e per tutti gli anni Sessanta Franco e Ciccio divennero gli incontrastati campioni d’incasso del cinema italiano. Tra i tanti titoli, quelli che più ancora oggi si lasciano maggiormente ammirare sono i film diretti dal creativo Lucio Fulci: I due della legione (1962), Gli imbroglioni (1963), I due evasi di Sing Sing (1964), 00-2 agenti segretissimi (1964), I due pericoli pubblici (1964), Come inguaiammo l’esercito (1965), I due parà (1965), Come svaligiammo la Banca d’Italia (1966), Come rubammo la bomba atomica (1967), Il lungo, il corto, il gatto (1967). Tra momentanee separazioni, prove soliste (per Franchi ricordiamo il già menzionato Ultimo tango a Zagarol, per Ingrassia citiamo almeno le belle prove d’attore drammatico in Amarcord di Fellini, 1973, e Todo modo di Elio Petri, 1975) e riappacificazioni, nel corso della loro carriera anche registi come Pier Paolo Pasolini (Capriccio all’italiana, episodio Che cosa sono le nuvole?, 1968) o i fratelli Taviani (Kaos, episodio La giara, 1984) hanno saputo valorizzarli al meglio. Senza dubbio se lo meritavano.
Dopo la morte di Franco Franchi, nel 1992, Giuseppe Li Causi ha cominciato a chiedere con insistenza alle istituzioni cittadine, tramite gli organi di stampa, una strada intitolata all’attore, ma bisognò aspettare il dicembre del 2012, vent’anni dopo la scomparsa di Franchi e nel novantesimo anniversario dalla nascita di Ingrassia (nel frattempo morto anche lui, nel 2003), per veder finalmente sorgere dietro al Teatro Biondo di Palermo la piazzetta Franco Franchi e Ciccio Ingrassia, attigua a via Venezia, nei luoghi dove il giovane Franchi aveva mosso i primi passi artistici con la “posteggia”, forma di spettacolo popolare da strada. Tre anni dopo la piazzetta si è arricchita di un bassorilievo donato dallo scultore Gianfranco Ragusano, raffigurante i volti dei due comici e quello di Domenico Modugno, che aveva contribuito a consacrarne il successo facendoli recitare nel film Appuntamento a Ischia e scritturandoli nella commedia musicale di Garinei e Giovannini Rinaldo in campo (anche se, va detto, i rapporti tra la coppia e Modugno presto si incrinarono seriamente). Nell’aprile del 2017, alla presenza del sindaco Leoluca Orlando, in Piazza Sant’Anna al Capo è stata inaugurata una singolare installazione, un’opera di arredo urbano contemporaneo ideata dall’Associazione Laboratorio Saccardi e realizzata in parte con una raccolta fondi on line: uno scivolo con la sagoma di Ciccio Ingrassia e un dondolo a due concepito sulla statua di Franco Franchi riproposto in una delle sue pose più celebri, quando a terra con mani e gambe sollevate si teneva in equilibro sul bacino. Si è trattato di un’iniziativa lodevole, dedicata ai bambini e nata soprattutto con lo scopo di contribuire alla riqualificazione di una zona degradata. Ma qui arriva la nota dolente: dopo meno di tre anni, l’opera è in completo stato di abbandono, tristemente confinata in una aiuola chiusa da recinto, in mezzo a erba alta, spazzatura e escrementi e, come se non bastasse, tutt’intorno campeggia una lunga fila di cassonetti della nettezza urbana. Uno spettacolo che ci ha profondamente amareggiati, segno tangibile di incuria e di irrispettosa indifferenza. Invitiamo le autorità municipali di Palermo a prendere seri provvedimenti.
A consolarci, passeggiando tra Ballarò e Albergheria, si erge il gigantesco murale (firmato Crazyone) che sulla grande e nuda parete esterna di un edificio ha il volto stralunato di Franco Franchi con la bombetta sulla testa. “Ma adesso un’altra opera la dovete dedicare a Ciccio perché loro sono inseparabili, ovunque siano”, aveva detto Maria Letizia Benenato, la figlia di Franchi, in occasione della presentazione pubblica di questo affresco nell’estate del 2018.
Ora aspettiamo, e pretendiamo, fiduciosi il museo delle maschere dedicato a Franco e Ciccio.
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