Fratelli nemici è il terzo lungometraggio del regista francese David Oelhoffen, uscito nelle sale italiane il 28 marzo del 2019.
Nei due precedenti lavori (Loin Des Hommes e Far From Men) entrambi ambientati durante la guerra civile algerina del 1954, si era cimentato in storie di conflitti bellici e difficili legami fra uomini. Fratelli Nemici, pur avendo una location molto differente – la distesa di asfalto grigio della periferia francese di Parigi – si può, non di meno, considerare un film di guerra o un western.
Non sono infatti gli uomini a fare la storia, ma è l’ambiente, povero e ostile – una società che discrimina in base alla faccia, all’etnia – a plasmare il destino delle persone.
Quale futuro potrebbero avere Manuel (Matthias Schoenaerts) e Driss (Reda Kateb), cresciuti insieme fin da bambini in quella periferia dominata dal narcotraffico, se non ambire a farne parte per dare una qualità della vita migliore ai propri familiari? Eppure Driss sceglie, sfidando genitori e amici, di diventare un poliziotto, pagando la sua decisione con l’amarezza di sentirsi rinnegato e disprezzato da tutti.
Manuel si trova coinvolto in un affare di droga che va storto. Improvvisamente alcuni motociclisti si avvicinano all’automobile dove lui e i suoi soci hanno caricato una notevole dose di eroina e sparano all’impazzata, uccidendo i suoi amici. Scampato per miracolo alla morte, Manuel inizia un’esistenza al margine, braccato e alla ricerca di chi ha tradito e vuole ancora ucciderlo. Dovrà per forza riavvicinarsi al suo vecchio compagno Driss, per riuscire a sopravvivere.
Fratelli Nemici si avvale di due attori di calibro eccezionale, il versatile Matthias Schoenaerts, a suo agio in ruoli testosteronici non meno che nelle sfumature delicate e dolenti di un transgender (The Danish Girl) e Reda Kateb, attore francese di origine algerina (pronipote, da parte di padre, del drammaturgo e scrittore Kateb Yacine).
La forza del film non sta tanto nella storia, che si traduce in un classico noir con dinamiche già conosciute, quanto nella mancanza di giudizio morale. La volontà di Oelhoffen è quella di documentare una vicenda umana che ha la struttura della tragedia greca, nella quale l’uomo tenta con le proprie forze e la propria dignità – onore è il caso di dire, anche se per i due protagonisti ha valenze diametralmente opposte – di opporsi a un destino già scritto, che è invece risulterà ineluttabile.
Un forte contributo al senso claustrofobico che si respira nel film, è dato dalle ambientazioni: palazzoni che torreggiano identici, anonimi garage, ascensori e la piazza di un supermercato a basso costo, sempre la stessa, che riappare continuamente, come se i protagonisti fossero chiusi in un labirinto – sociale, culturale – dal quale non è possibile uscire.
La sceneggiatura, piuttosto felice, anche se forte il legame affettivo fra i protagonisti viene svelato un po’ tardi, è firmata dallo stesso regista in coppia con Jeanne Aptekman.
Il film è stato presentato con successo alla 75 esima Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia.
Lascia un commento