Venerato come animale intoccabile nell’antico Egitto, identificato anche con Bastet, una dea felina che proteggeva i combattenti durante la guerra, (chi uccideva un gatto, pagava con la sua stessa vita) – detestato a partire dal Medioevo, tanto che papa Innocenzo VIII nel 1484 arrivò a dichiarare solennemente: “il gatto è l’animale preferito del diavolo e idolo di tutte le streghe”, eretico per eccellenza, la sua natura “altra” e magica lo ha reso divinità oppure demonio. Intruso nella società umana, il gatto non ha padroni e si mostra indifferente agli esseri umani, coi quali intrattiene al più un rapporto paritario.
Poeti ed artisti di tutti i tempi lo hanno amato, proprio per quella sua natura inafferrabile, magica e misteriosa, da Baudelaire, Saba, Verlaine, Keats, Pessoa, Neruda, Borges,T.S. Eliot… L’elenco è interminabile.
Se il cane, adorante, ci fa capire cosa significa essere amati, il gatto, con la sua indipendenza, ci insegna il significato della parola amare, nonostante il suo andirivieni e qualche graffio. Guy de Maupassant ne tratteggia l’essenza: “È in casa ovunque, visto che ovunque può entrare, l’animale che passa senza un rumore, vagabondo silenzioso, errante notturno dei muri vuoti”.
Ma il gatto è stato ed è protagonista anche sul grande schermo. A lui sono stati dedicati interamente film d’animazione e lungometraggi, tanto che fare una selezione è inevitabile. Il gatto porta guai, porta emozioni, porta sfortuna, di certo è la creatura che mai lascia sopiti e indifferenti, perché reca con sé la conoscenza, l’avventura e quindi la vita. Anche quando ritorna dal mondo dei morti, come nel caso di Church, il micio zombie di PetSemetery, Cimitero Vivente (1989) horror diretto da Mary Lambert e tratto dal romanzo PetSematary di Stephen King. Nella pellicola, Church è un gatto certosino che emana un inequivocabile puzzo di cadavere, come fa notare la piccola EllieCreed.

Pet Semetary nel remake di Kevin Kölsch (2019)
Restando in tema morti viventi, come non citare Rufus, il gatto di Re-Animator (1985)? Diretto da Stuart Gordon, è un film horror fantascientifico tratto dal racconto del 1922 Herbert West rianimatore, dello scrittore statunitense Howard Phillips Lovecraft. La pellicola racconta le vicende dello studente di medicina Herbert West, che inventa un siero per resuscitare i morti. I cadaveri ritornano in vita, ma non sono controllabili e diventano mostri che iniziano a uccidere. West rianima con il suo fluido fluorescente anche Rufus, il gatto nero che aveva ritrovato morto.
Lo scrittore maledetto per eccellenza, il geniale Edgar Allan Poe conosceva bene l’essenza soprannaturale del gatto, e lo fece protagonista di alcuni tra i suoi racconti più riusciti. Numerosi film sono stati tratti da essi, da The Black Cat con Boris Karloff del 1934 fino alle versioni di Fulci del 1981 e di Argento nel suo segmento Due occhi diabolici.

The Black Cat- locandina del film di Lucio Fulci
Ma il gatto, dotato di sette vite, non ha alcuna paura di arrivare perfino nello spazio. E così ecco Jonesy, il soriano rosso dell’ufficiale della USCSS Nostromo Ellen Ripley in Alien, di Ridley Scott. Jonesy, sopravvissuto nel primo Alien, tornerà e se la caverà anche nel primo sequel, l’Aliens diretto da James Cameron.

Sigourney Weaver in Alien (1979)
Se per Shakespeare il gatto era profondamente legato all’essenza della natura femminile, alla sua sensualità imprevedibile e sfrenata, esso trova la sua identificazione perfetta nella bellezza mozzafiato di Kim Novak in Una Strega In Paradiso di Richard Quine (1958). Gillian è una strega che gestisce un negozio di artigianato a New York. Quando conosce l’editore Shep (James Stewart), si innamora di lui, che però è impegnato con una sua vecchia rivale… Possiamo solo immaginare la fine che farà la povera donna. Il film ha ispirato commedie italiane che volano basso ma restano piacevoli come “Mia Moglie è Una strega” (Castellano e Pipolo, 1980), ma il gatto, di pari passo con la qualità del film, ha preferito scomparire quasi del tutto.

Kim Novak in Una Strega In Paradiso
Ugualmente legato al fascino femminile, meno torbido e fatale stavolta, ma etereo e cerbiattesco come quello di Audrey Hepburn, ecco il “Gatto Rosso” di Colazione da Tiffany (1961) di Blake Edwards. Tratto dal romanzo di Truman Capote, il gattino rosso non ha un nome proprio perché emblematico del senso di spaesamento e di non appartenenza della protagonista Holly, spaventata dal possesso implicito nei sentimenti. Ma il gatto è nato apposta per creare legami – se l’amore è qualcosa che proviene dal divino – e deciderà di sparire costringendo i due innamorati a cercarlo insieme sotto la pioggia…

Colazione da Tiffany
I gatti, apparentemente stanziali e timorosi, nella realtà mal tollerano noia e tristezza. Motore delle vicende che smuovono il protagonista dalla sua inerzia esistenziale è un gatto in “A proposito di Davis” di Joel ed Ethan Coen. Llewyn (Oscar Isaac) lascia inavvertitamente fuggire di casa un soriano rosso, il gatto di alcuni amici che l’hanno ospitato. La corsa di Llewyn per riacciuffare Ulisse (nome di certo non casuale) porterà conseguenze inaspettate, come ogni autentico viaggio. Insomma, il gatto ci fa uscire di casa e ci fa incontrare il destino, che ci piaccia o meno.

A proposito di Davis
Per chi invece vuol sorridere – non a spese del gatto, sia chiaro – ecco il micio protagonista di una delle commedie hollywoodiane più riuscite: Ti Presento i Miei di Jay Roach (2000). Sfigatto è un viziatissimo gatto siamese addestrato dal paranoico Robert De Niro, ex agente della CIA, geloso della figlia, che ne farà vedere di tutti i colori al futuro genero (Ben Stiller). Sfigatto provocherà incendi, allagamenti, catastrofi e con eleganza mai scomposta passerà indenne fino ad arrivare al sequel del film: Mi presenti i tuoi? datato quattro anni dopo.

Robert De Niro con “Sfigatto”
Il persiano bianco che vediamo sempre in braccio al cattivo della serie di 007- James Bond, Ernst Stavro Blofeld, non ha un nome. Rappresenta il compagno ideale del malvagio di turno ed ha il solo compito di apparire bello ed imperscrutabile. Come recita la poesia di T.S. Eliot: Quando vedete un gatto in profonda meditazione, la ragione, credetemi, è sempre la stessa: ha la mente perduta in rapimento ed in contemplazione del pensiero, del pensiero, del pensiero del suo nome: del suo ineffabile effabile effineffabile profondo e inscrutabile unico NOME.

Dalla Russia Con Amore, il gatto di Ernst Stavro Blofeld,
In Una Vita da Gatto, il bel film di Barry Sonnenfeld (2016) Tom Brand (Kevin Spacey) è un miliardario di successo con uno stile di vita che lo ha allontanato totalmente dalla sua famiglia. Intento a recuperare il rapporto iniziando con la figlia Lara (Jennifer Garner), decide di regalarle per il suo compleanno il gattino che desidera da tanto. Sulla strada verso casa, però, Tom rimane coinvolto in un incidente e quando riprende conoscenza scopre di essere intrappolato nel corpo del gatto appena acquistato. Il suo punto di vista sulle cose davvero importanti, cambierà completamente.

Una Vita Da Gatto
Dello stesso anno – 2016 – è A Spasso con Bob di Roger Spottiswoode nel quale il senzatetto e tossicodipendente, James Bowen (Luke Treadaway) grazie alla fiducia di un’assistente sociale e a Bob, un grosso felino dal pelo rosso, ricomincia a credere in sé stesso, iniziando proprio col prendersi cura del gattino.

A Spasso con Bob
Il gatto seduce, il gatto esaspera, il gatto è un continente nero sommerso nel nostro inconscio. Il gatto insegna: a volte si concede, altre graffia, ma reca con sé la conoscenza. Poiché “Chi non ha mai guardato in quegli occhi – scrive Anna Maria Ortese – non ha mai visto nulla di divino“.

Una Strega in Paradiso
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