Esistono innumerevoli espressioni di disprezzo nel linguaggio umano associate alla parola cane. Eppure esso, da sempre, è il nostro più fedele alleato ed amico. La ragione è forse che il cane, in quanto a sentimenti, è migliore dell’uomo. Il suo amore e la sua fedeltà sono veri e concreti, fino ad arrivare anche a lavorare al nostro fianco. Ma il cane è un semplice, un puro di cuore. Il cane gioca, sogna, ama e può rendersi persino goffo o ridicolo, pur di compiacerci. Il cane ci aspetta, crede in noi (la sua non è mancanza di dignità, al contrario, è fiducia) e il suo affetto può essere un fardello. Perché l’amore – fatto di cura, dedizione, fede, rispetto e presenza – nella realtà, non è per tutti.
Per Umberto D., ex funzionario ministeriale invece, il cane Flaik era davvero tutto, fino al momento in cui la magra pensione non gli permette più di prendersene cura. Nel meraviglioso film del 1952 di Vittorio De Sica, il piccolo Flaik distoglie l’anziano protagonista dai pensieri suicidi, fuggendo proprio mentre l’uomo sta per buttarsi sotto a un treno. Sceneggiato dallo stesso De Sica e Cesare Zavattini, Umberto D resta un capolavoro del neorealismo.
Ma c’è anche chi farebbe – letteralmente – chiunque a pezzi pur di proteggere il suo amore – in questo caso associato al cucciolo regalato dalla moglie prematuramente scomparsa – e quando non ci riesce, la sua vendetta sarà implacabile, oltre che lunghissima. Sono infatti tre gli action movie di John Wick, capitolo 1, capitolo 2, e capitolo 3, tutti diretti da Chad Stahelski, nei quali un temuto killer (Keanu Reeves nerovestito e dai capelli piastrati) ormai ritirato dal servizio, decide di tornare in campo solo per vendicare l’uccisione della cagnolina Daisy. Inutile specificare che Daisy nel film ha un ruolo assai breve – nei successivi verrà sostituita da un adulto di altra razza- ma tutto accade per amore suo.
Il filo rosso di Dogman, drammatico film di Matteo Garrone, sono sempre loro: piccoli, grandi, di razza, meticci, di ogni genere. Marcello (Marcello Fonte) è un uomo umile, mite, che nell’amore per i cani e per l’adorata figlioletta esprime tutta la sua bontà d’animo. Ma un’amicizia pericolosa e un contesto sociale a rischio, faranno crollare il fragile benessere e la felicità costruita a fatica, trascinandolo in un incubo nel quale arriverà a perdere tutto, perfino se stesso. La pellicola ha ottenuto molti riconoscimenti internazionali e diversi David di Donatello 2019.
Non tutti gli umani però, partono con la consapevolezza del valore del cane, né col desiderio di averne uno. Questo è il caso di Io & Marley, la commedia dolce amara di David Frankel, successo del 2008. Owen Wilson e Jennifer Aniston sono una coppia di sposini biondi, carini ed innamorati, ma l’idea di un figlio fa un po’ paura…quindi per fare pratica e rimandare il grande evento, adottano Marley, un cucciolo di labrador. Ma che il cane possa sostituire un bambino è solo illusorio, perché i figli arriveranno ed il cane, impegnativo e pasticcione, resterà. Non per sempre. Sorrisi e lacrime.
Hachiko – Il tuo migliore amico del 2009 di Lasse Hallström, usa il fascino sempiterno di Richard Gere per costruire in stile hollywoodiano la storia di un’eterna e commovente amicizia tra cane e padrone. Si tratta di un rifacimento del film giapponese del 1987 Hachikō Monogatari (La Storia di Hachiko), che racconta la storia – verissima – del legame profondo, anche spirituale – fra un cane di razza hakita inu e un anziano professore in pensione. Il cane attende l’uomo ogni giorno, al ritorno dal lavoro, e quando il professore muore, nel 1925, il cane va ad aspettarlo ogni giorno alla stazione del treno, per anni, fino ad invecchiare e morire nella sua vana attesa. Durante la seconda guerra mondiale il governo giapponese, necessitando di quantità ingenti di metalli per costruire le armi, ordinò di usare pure quello della statua che era stata costruita in memoria della fedeltà di Hachikō. Ma i due film, con retorica più o meno dosata, ne celebrano per sempre la memoria.
Non dimentichiamoci mai però che il cane, ogni cane, deriva geneticamente dal lupo e che ha un enorme potenziale aggressivo, che tiene a bada, se sano e adeguatamente educato, solo per il nostro amore. Un piccolo problema può essere quindi rappresentato da una cane ammalato di rabbia. Il genio delle idee tenebrose, Stephen King, scrive il romanzo Cujo e nel 1983 il regista Lewis Teague ne trae un film omonimo. La bestiola in questione è un San Bernardo indemoniato e bavoso che fa di tutto per sbranare padroni e bambini. Nella locandina il nome Cujo è scritto col sangue. Il film è spaventoso ed efficace ma non deve essere stato facile trasformare il muso mite del San Bernardo in una belva, forse bagni nel liquido rosso sono stati d’aiuto.
Troppa paura? Il pastore tedesco Sam di Io Sono Leggenda (2007), difende e rende sostenibile la sopravvivenza del protagonista, Will Smith, in un mondo popolato da vampiri mutanti. Bell’horror rovinato da un finale retorico che si differenzia parecchio dal romanzo originale di Richard Matheson da cui è tratto, sia nella scelta del co-protagonista, nel libro un meticcio, che nel messaggio generale, purtroppo a discapito della versione su pellicola.
I lavori di animazione (e non) dedicati ai cani e pensati per incantare i bambini, sono numerosissimi. Tra i più belli ed ambiziosi c’è L’Isola dei Cani – 2018 – che si discosta dalla massa grazie allo stile asciutto ed inconfondibile dell’americano Wes Anderson, ed è girato in stop motion. In Giappone, una strana influenza canina spinge gli uomini a disfarsi di ogni cane, tutti sono relegati su un’isola e abbandonati al proprio destino. Ma un ragazzo non si arrende, rivuole indietro il suo cucciolo e con grande coraggio cerca di sovvertire il sistema. Metafora politica con 2 candidature ai Premi Oscar, premiato al Festival di Berlino, 2 candidature a Golden Globes, ecc…
Sempre per bambini, ma fino a un certo punto, è il bellissimo Frankenweenie di Tim Burton (2012) che con Anderson condivide l’utilizzo della tecnica stop motion, ma soprattutto l’immaginazione sconfinata e la sapiente capacità narrativa. Il regista continua la sua ricerca sulla morte, attraverso le bizzarrie della vita. Tratto da una sceneggiatura giovanile di Burton, il film narra le vicende del piccolo Frankenstein che ha un unico amico: il suo cane. La sua morte è inaccettabile e lo scienziato bambino decide di riportarlo in vita, in tenera versione zombie.
Per finire – ma la lista sarebbe infinita – uno dei film più belli di sempre, dedicati ai cuori semplici di adulti che sono – e saranno per sempre – bambini dentro: Il Mago di Oz, 1939, di Victor Fleming e George Cukor. Se non ci fosse stato il cagnolino Toto, il viaggio della piccola Dorothy (Judy Garland) verso il meraviglioso regno di Oz, non sarebbe mai iniziato. Avventure immaginifiche che sono insegnamenti su come affrontare il mondo, Il Mago di Oz ci porta a vedere tutto con bontà d’animo, proprio come forse farebbe un cane, e ad ottenere i 3 doni che il nostro amico possiede già: cuore, coraggio e cervello.
Concludendo la breve carrellata di omaggi amorosi su pellicola dedicata al più semplice e al contempo nobile degli amici – se il gatto è la mutevole luna, il cane è il nostro sole fisso – resta famoso l’epitaffio che il poeta Lord Byron dedicò al suo amato cane quando morì, che si trova sulla tomba di Boatswain a Newstead Abbey, Inghilterra.
La lapide del cane è più grande di quella del suo padrone e sopra vi sono incise le parole: “In questo luogo giacciono i resti di una creatura che possedette la Bellezza ma non la Vanità. La Forza ma non l’Arroganza. Il Coraggio ma non la Ferocia, e tutte le Virtù dell’Uomo senza i suoi Vizi”.
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