Disponibile su Youtube Ossessione, un film del 1943 diretto da Luchino Visconti, liberamente ispirato al romanzo Il postino suona sempre due volte di James M. Cain. È considerato, insieme a I bambini ci guardano e 4 passi fra le nuvole, il film che segna la nascita del filone neorealista del cinema italiano per l’ambientazione e per la forza espressiva e la carnalità delle scene passionali tra Girotti e la Calamai, che rompono con la tradizione calligrafica del cinema italiano durante il fascismo. Dice Luchino Visconti in un’intervista del 1962 al settimanale L’Europeo: “Con Ossessione, venti anni fa, si parlò per la prima volta di Neorealismo”. Il ruolo della protagonista era stato, in un primo momento, assegnato a Anna Magnani, ma l’attrice dovette rinunciare a causa del suo stato di gravidanza. “Ossessione” è stato inserito nella lista dei 100 film italiani da salvare. Con Massimo Girotti, Clara Calamai, Juan de Landa, Dhia Cristiani.
Trama
Il vagabondo Gino Costa si ferma presso un ristoro per viaggiatori nella bassa padana, divenendo l’amante di Giovanna, moglie dell’ignaro Giuseppe, proprietario dello spaccio. Gino non sopporta questa situazione e propone alla donna di fuggire con lui. Giovanna rifiuta e lui parte per Ancona, che lo attira per la presenza del porto: spera di imbarcarsi e di lasciarsi alle spalle la storia appena conclusa. Durante il viaggio per Ancona fa amicizia con un girovago detto lo Spagnolo. Gino non si imbarca più, ma trova lavoro con il suo nuovo amico alla Fiera di maggio; una nuova vita sembra iniziata.
Ossessione fu girato da Visconti fra l’estate e l’autunno del 1942 e, una volta ultimato, venne presentato a Roma in anteprima nella primavera del 1943 con l’intento di rimuovere alcuni intoppi burocratico-censori. Le autorità, rendendosi conto che il film non attaccava direttamente il regime, ne autorizzarono la distribuzione. Alcuni mesi dopo il film venne proiettato nelle sale di alcune città del Nord Italia, ma solo l’anno successivo raggiunse Milano, sotto l’occupazione tedesca. Il film restò peraltro nelle sale per due o tre sere o addirittura per poche ore, prima di venire tolto dalla circolazione a seguito delle reazioni scandalizzate delle autorità fasciste e della Chiesa. In ultimo il film fu definitivamente vietato e successivamente distrutto dal regime fascista di Salò; Visconti riuscì però a tenere nascosta una copia del negativo fino alla fine della guerra, da cui derivano le copie attualmente esistenti.
Il romanzo di Cain serve a Visconti più che altro come un canovaccio, difatti viene trascurata la trama poliziesca e accentuate le nozioni naturalistiche e il cupo romanticismo: il regista trasferisce sul Po, a Ferrara e ad Ancona i paesaggi e gli eroi del realismo poetico francese senza comunque oscurare l’originalità del film. Esso si distacca sia dai film irreali del cinema dei telefoni bianchi e sia dalla retorica dei film storici: la descrizione dei personaggi e dei loro rapporti è qualcosa di inedito rispetto ai lussuosi paesaggi e agli eroi sorridenti dei telefoni bianchi.
Mauro Giori in “Poetica e prassi della trasgressione in Luchino Visconti” ricorda ciò che già la letteratura femminista aveva notato in questo film: per la prima volta il corpo di un uomo diviene elemento sensuale e oggetto del desiderio dello sguardo di una donna. Emblematica è la presentazione del personaggio di Gino. Dopo un sequenza iniziale in cui lo spettatore lo vede solo di spalle, il suo volto ci viene mostrato nel momento in cui Giovanna lo vede per la prima volta: ecco che, con un carrello (al tempo Visconti non utilizzava ancora lo zoom), la macchina da presa si avvicina al viso di Gino mostrandocelo mediante una soggettiva di Giovanna. Anche l’abbigliamento di Gino ne enfatizza la caratterizzazione sensuale: spesso viene mostrato con una canottiera attillata e molto scollata e il suo corpo è spesso oggetto degli sguardi espliciti dei personaggi femminili (in particolare di Giovanna, ma anche di Anita) e talvolta anche dei personaggi maschili (è il caso dello spagnolo).
Al tempo, Mario Alicata scrisse a Giuseppe De Santis di “tener d’occhio” Visconti, poiché si avvertiva la sensazione che il regista si stesse allontanando dalle intenzioni politiche iniziali. Visconti creando un “sottotesto omosessuale” sovrappose dunque alla valenza pubblica dello spagnolo (il voler essere elemento di propaganda socialista) le sue intenzioni “private”. Alcune critiche fatte al film partivano proprio dal presupposto che non si capiva se lo spagnolo voleva essere un personaggio politico o semplicemente un omosessuale. Visconti non sentiva questa frattura o contraddizione tra pubblico e privato, anzi utilizzò questo aspetto privato per fare un discorso politico: in un’Italia pervasa dalla cultura fascista dove sia l’adulterio che l’omosessualità erano banditi, fare un film in cui entrambi i temi apparivano era un gesto fortemente trasgressivo e controcorrente rispetto ai canoni dell’epoca.
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