Per fare il cinema ci vuole talento e tanto, tanto lavoro. “Bisogna svegliarsi presto la mattina e calcolare di lavorare almeno dieci ore al giorno. E poi non buttare via i soldi”. Parole di Roger Corman, regista e produttore americano tra i più prolifici, un’istituzione vivente, instancabile artigiano del cinema, morto all’età di 98 anni giovedì scorso nella sua casa di Santa Monica, in California.
Roger Corman è stato definito il re dei film di serie B. A prima vista può sembrare una definizione calzante, dato che dal 1954 alla fine degli anni Sessanta ha diretto, come indipendente, più di cinquanta film a basso costo destinati al mercato dell’exploitation, cioè pellicole che sfruttavano temi sensazionali come la fantascienza o le mode giovanili a fini puramente commerciali, con particolare riguardo al pubblico adolescenziale. In realtà si tratta di una descrizione erronea, che lo stesso Corman ha respinto più volte. Per la precisione, i cosiddetti B movie erano stati un’iniziativa degli studios hollywoodiani, dagli anni Trenta all’inizio degli anni Cinquanta, prima quindi che la crisi di Hollywood portasse a una affermazione del cinema indipendente. Erano film minori, venduti agli esercenti secondo il sistema della doppia locandina, abbinati a un film di “serie A”, cioè di maggior richiamo: due pellicole al prezzo di una. Nel caso di Roger Corman, dunque, è più esatto parlare semplicemente di cinema a budget contenuti.
Nato a Detroit il 5 aprile del 1926, da padre ingegnere e madre casalinga, crebbe nel clima della Grande Depressione e questo ha avuto, per tutta la vita, un forte peso sul suo oculato rapporto con il denaro. Così, dopo aver diretto una cinquantina di film e averne prodotti circa 250, ha potuto vantarsi di aver tratto un profitto da quasi tutti i suoi lavori. Nel corso della sua carriera, rifiutò perfino un ruolo direttivo in una importante casa di produzione: perché avrebbe finito col guadagnare molto meno !
Da ragazzo inizialmente sembrò voler seguire le orme paterne e si mise a studiare ingegneria industriale all’Università di Stanford. Ma poi maturò l’idea di lavorare nel mondo del cinema. Iniziò come fattorino in uno stabilimento della Fox e successivamente passò a esaminare sceneggiature. Dopo un soggiorno a Oxford, dove beneficiò di una borsa di studio, e dopo aver frequentato i locali della Parigi esistenzialista, tornò in patria e scrisse la sua prima sceneggiatura, che riuscì a vendere alla Allied Artists: FBI Operazione Las Vegas (Highway Dragnet, 1954). Nei titoli di coda Roger Corman figurava come autore e produttore associato.
Il suo primo film come produttore risale al 1954: Monster from the Ocean Floor, realizzato con soli 12.000 dollari. A lavoro ultimato, riuscì a farsi pagare dal distributore un anticipo di 60.000 dollari sui guadagni, in modo da coprire le spese sostenute, restituire le somme avute in prestito e reinvestire una quota nella realizzazione del film successivo. Il meccanismo degli anticipi divenne una costante della sua carriera di cineasta e gli permise, parafrasando il titolo della sua autobiografia, di fare tanti “film a Hollywood senza mai perdere un dollaro”. Per il suo secondo film, The Fast and the Furious (1954), Corman riuscì con grande abilità ad ottenere gratuitamente i pezzi più importanti e costosi del materiale scenico: il sommergibile e le auto da corsa. L’anno dopo, il western Cinque colpi di pistola (Five Guns West) segnò il suo esordio alla regia. Con Il mostro del pianeta perduto (The Day the World Ended, 1955), invece, ebbe inizio la proficua partnership tra Corman e la American International Picture (AIP), che si accingeva a diventare la più forte società indipendente di distribuzione e produzione a Hollywood.
Tra il 1956 e il 1957 Corman diresse ben dodici film, per lo più di fantascienza o ambientati nel mondo dei teenager e del rock ‘n’ roll.
Nel 1958, con La legge del mitra (Machine Gun Kelly), offrì a Charles Bronson la sua prima parte da protagonista e il film ottenne recensioni molto favorevoli in Europa, in particolare in Francia, dove Corman cominciò a imporsi all’attenzione della critica. The Cry Baby Killer (1958) e La piccola bottega degli orrori (The Little Shop of Orrors, 1960), invece, tennero a battesimo un giovane Jack Nicholson alle prime armi. La piccola bottega degli orrori, in particolare, è diventato col tempo un vero e proprio cult movie inaugurando un genere nuovo: la black comedy, dove lo humour si fonde con i temi dell’horror e con la suspense. All’inizio degli anni Ottanta ne fu tratto un longevo adattamento teatrale in forma di musical, che a sua volta divenne nuovamente un film.
Dal 1960 al 1964 Roger Corman si è cimentato con l’horror gotico, mettendo in cantiere produzioni più complesse ed elaborate, sceneggiature accurate, piani di lavorazione più lunghi e attori esperti, tra i quali spiccava il grande Vincent Price, “attore di prim’ordine” – come lo ha definito Corman stesso – “capace di ispirare una profonda paura”. Il primo film della serie, tratta dai racconti di Edgar Allan Poe, fu I vivi e i morti (The Fall of the House of Usher, 1960), in assoluto l’investimento più alto sostenuto dalla AIP, ben 270.000 dollari. Seguirono Il pozzo e il pendolo (The Pit and the Pendulum, 1961), Sepolto vivo (The Premature Burial, 1962, interpretato da Ray Milland), I racconti del terrore (Tales of Terror, 1962), I maghi del terrore (The Raven, 1963), La maschera della Morte Rossa (Masque of the Red Death, 1964), La tomba di Ligeia (Tomb of Ligeia, 1964). Quando frequentava ancora il liceo, Corman era stato particolarmente colpito dalla lettura del racconto La caduta della Casa Usher, tanto da chiedere in regalo la raccolta completa delle opere di Poe. Non immaginava che, a distanza di vent’anni, proprio con quel racconto avrebbe inaugurato una serie di film che sono ormai un capitolo imprescindibile della storia del cinema dell’orrore.
Dopo le ingerenze e i tagli effettuati dalla American International Pictures al film Il serpente di fuoco (The Trip, 1967, con Peter Fonda), deluso da tale comportamento Roger Corman diresse gli ultimi due film per la AIP e pose fine alla fruttuosa collaborazione: Bloody Mama (Il clan dei Barker, 1970) e Gas-s-s-s! (Gas, fu necessario distruggere il mondo per poterlo salvare, 1970). Dopo aver diretto il film Il Barone Rosso (Von Richthofen and Brown, 1971), invece, abbandonò anche la regia e negli anni successivi sarebbe tornato a dirigere solo sporadicamente.
Dopo l’esperienza con la AIP, nel 1970 fondò una società di produzione e distribuzione, la New World Pictures, che tra l’altro ha avuto il merito di diffondere sul mercato statunitense film d’autore europei come Amarcord di Federico Fellini. Cineasti contemporanei di fama mondiale come Martin Scorsese, Joe Dante e James Cameron si sono formati proprio alla New World di Roger Corman. Nel 1983 ha venduto la società, conservando però il redditizio catalogo dei film, e ha dato vita alla Concorde New Horizons, orientata principalmente al mercato delle videocassette e della TV via cavo. In anni recenti, insieme a Joe Dante, ha realizzato una webserie per Netflix dal titolo Splatter (2009). L’ultimo lungometraggio prodotto da Corman è Death Race 2050 (Roger Coman’s Death Race, 2017, regia di G. J. Echternkamp).
Pochi giorni dopo aver ricevuto l’Oscar alla carriera nel novembre del 2009, Roger Corman ha ottenuto un prestigioso riconoscimento anche dall’Italia, al Festival Internazionale della Fantascienza di Trieste, dove gli è stato consegnato il Premio Urania d’Argento. Nel 2016, per i suoi novant’anni, è stato ospite d’onore al Festival del Cinema di Locarno, dove per l’occasione fu proiettato l’unico flop della sua carriera: The Intruder (1962, in Italia uscito col titolo L’odio esplose a Dallas), una pellicola sull’odio razziale ambientata in una cittadina del Sud degli Stati Uniti, un film troppo in anticipo sui tempi che all’epoca fu un grande insuccesso al botteghino e venne addirittura boicottato. In tempi recenti è stato anche invitato al Centro Sperimentale di Cinematografia di Roma per una lezione evento con gli allievi della scuola.
Roger Corman ci ha lasciati oggi ad una venerabile età, senza aver mai abbandonato l’amore per il proprio lavoro. Forse è questo il segreto della giovinezza eterna, che non significa non morire mai, ma non sentirsi mai vecchi.
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